Ancora sul contratto di lavoro a tempo determinato: la disciplina normativa e la sentenza della Corte di giustizia

08 Settembre 2016

La normativa del contratto di lavoro a tempo determinato è stata profondamente trasformata dal D.L. 20 marzo 2014, n. 34 convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 78 e ulteriori modifiche sono state da ultimo introdotte dal D.lgs. n. 81 del 2015 che ha dettato una nuova disciplina sull'istituto. L'Approfondimento in oggetto, a completamento di quello proposto la settimana scorsa, continua nell'esame dettagliato della normativa collegata, prendendo in considerazione anche la sentenza significativa della Corte di giustizia 26 novembre 2014, C-22/13, Mascolo.
La disciplina

Vedi anche il focus del 2 settembre: La giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di compatibilità comunitaria della normativa sui contratti a termine di Vincenzo Di Cerbo

La disciplina del contratto a tempo determinato è racchiusa dal

d.lgs. n. 81/2015

, nella sua parte preponderante, nel suo capo III (artt. 19-29). Le regole sul lavoro a termine sono incise anche dall'art. 1, a norma del quale “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”, e da due articoli del capo VII, che contiene le disposizioni finali: l'art. 51, relativo ai rinvii alla contrattazione collettiva, e l'art. 55, relativo alle abrogazioni. Le regole sulle tipologie flessibili si accompagnano, con una precisa logica sistematica, ad alcune disposizioni, di cui al capo I, che hanno la funzione di compensare parzialmente il favore verso il lavoro a termine.

Una prima annotazione deve essere fatta. Riguarda la citata enunciazione di cui all'art. 1, e già contenuta nel

d.lgs. n. 368 del 2001

secondo cui il contratto a tempo indeterminato è la forma comune di rapporto di lavoro. Esso deve costituire sicuramente un elemento interpretativo della nuova disciplina del contratto a termine (come lo è stato per l'interpretazione della disciplina introdotta dal

d.lgs. n. 368 del 2001

prima citato).

Quanto alla forma le attuali norme (art. 19, comma 4) nulla innovano, nella sostanza, rispetto al testo originario dell'

art. 1 del d.lgs. n. 368/2001

(commi 2-4), limitandosi a concentrarle in un unico comma: con eccezione dei rapporti di durata massima di 12 giorni, l'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto, una copia del quale va consegnata al lavoratore entro 5 giorni dall'inizio della prestazione. L'inizio del rapporto costituisce il momento ultimo entro il quale deve sussistere la forma scritta che manifesta la volontà delle parti. In assenza della forma scritta il rapporto va considerato sin dall'inizio come a tempo indeterminato.

I limiti al primo contratto ed alla successione di contratti (art. 19): essi riguardano la forma che deve rivestire la clausola, la durata massima del singolo contratto e la successione di più contratti con lo stesso lavoratore.

Una caratteristica essenziale della nuova disciplina è costituita dalla generalizzazione delle assunzioni a termine acausali (già contenuta nel

d.l. 20 marzo 2014, n. 34

prima citato). All'eliminazione del requisito delle causali corrisponde l'introduzione di un limite di durata concernente ogni singolo contratto: 36 mesi (previsto dal comma 1 dell'art. 19). Ai sensi del comma 2 dello stesso art. 19, se un unico contratto ha durata superiore a 36 mesi, ne consegue la trasformazione in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento dei 36 mesi.

Vengono poi previsti limiti alla successione di contratti con lo stesso lavoratore: i commi 2 e 3 dell'art. 19, riprendono la disciplina sulle assunzioni successive a termine dello stesso lavoratore (già prevista nell'

art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368/2001

ed ivi introdotta dalla

l. n. 247/2007

, in attuazione del protocollo sul welfare del luglio dello stesso anno), ma presentano anche importanti novità. La continuità è data dal limite dei 36 mesi che non possono essere superati, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, dalle successive assunzioni delle stesso lavoratore. È da notare che, mentre in precedenza il limite dei 36 mesi si riferiva a contratti stipulati per lo svolgimento di mansioni equivalenti, ora in coerenza con la nuova disciplina dello ius variandi, il limite attiene ai contratti stipulati per mansioni «di pari livello e categoria legale». Il nuovo testo del primo comma dell'

art. 2103 c.c.

, infatti, non garantisce più mansioni professionalmente equivalenti a quelle precedentemente svolte, ma «mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento».

È da sottolineare che la nuova disciplina prevede esplicitamente le ipotesi di conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei casi di violazione di specifici precetti.

Alcuni esempi

L'art. 20 del D.lgs. ribadisce i casi di divieto tradizionali (sostituzione di scioperanti, unità produttive in cui si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi – con alcune eccezioni – o a sospensioni con cassa integrazione di lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine, datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi). Una prima novità è costituita dall'eliminazione della possibilità che gli accordi sindacali deroghino al divieto relativo alle aziende che avessero proceduto a licenziamenti collettivi nei 6 mesi precedenti (è un esempio di sottrazione di funzioni al sindacato). È da notare che, ai sensi del comma 2, in caso di violazione dei divieti di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.

In tema di proroghe e rinnovi. Il comma 1 dell'art. 21 prevede che le proroghe rimangano fissate in un massimo di 5 nell'arco dei 36 mesi e richiedono il consenso del lavoratore ed una durata del contratto iniziale inferiore ai 36 mesi. Quando il numero delle proroghe è superiore a 5, «il contratto si considera a tempo indeterminato dalla data della sesta proroga». Il comma 2 dell'art. 21 riprende la disposizione sugli intervalli di tempo che devono intercorrere tra un contratto a termine e l'altro (10 o 20 giorni), pena la trasformazione a tempo indeterminato del secondo contratto.

Continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine. L'art. 22 riprende senza significative modifiche le norme di cui all'

art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 368/2001

, concernenti la continuazione “di fatto”, cioè in assenza di una proroga, delle prestazioni di lavoro oltre la scadenza del termine. Com'è noto, le disposizioni in esame “sterilizzano” la prosecuzione del rapporto sino a determinati periodi (con semplice maggiorazione della retribuzione), superati i quali il contratto si trasforma a tempo indeterminato.

È da notare che, a norma dell'art. 28 (comma 2) del

D.lgs. n. 81 del 2015

, in tutti si casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'

articolo 8 della legge n. 604 del 1966

. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, con le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. Il comma 3 prevede inoltre che, in presenza di contratti collettivi che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell'indennità fissata dal comma 2 è ridotto alla metà.

A norma dell'art. 28, comma 1, L'impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le modalità previste dal primo comma dell'

articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604

, entro centoventi giorni dalla cessazione del singolo contratto. Trova altresì applicazione il secondo comma del suddetto articolo 6.

È stata peraltro esclusa la conversione in caso di sforamento dei limiti percentuali. In tale ipotesi si applica unicamente una sanzione amministrativa. Ciò implica che il suddetto sforamento non incide sulla legittimità del termine apposto ai singoli contratti di lavoro e che pertanto il lavoratore non può agire in giudizio rivendicando la nullità del termine. In tal senso l'art. 23 fissa limiti quantitativi ai contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro (che certamente costituisce un argine all'utilizzo eccessivo del contratto a termine insieme al limite relativo alla successione dei contratti con lo stesso lavoratore dopo l'eliminazione delle causali). Lo stesso articolo prevede ipotesi di esclusioni da ogni limite percentuale, di fonte legale e contrattuale, analogamente a quanto previsto nell'

art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 368 del 2001

: contratti conclusi nella fase di avvio di nuove attività, per lo svolgimento di attività stagionali, per la sostituzione di lavoratori assenti, per specifici spettacoli o programmi radiotelevisivi. A queste esclusioni il comma 2 dell'art. 23 D.lgs. aggiunge i contratti stipulati delle start-up innovative, ed inoltre abbassa l'età dei lavoratori da escludere dai conteggi da 55 a 50 anni, in considerazione del fatto che l'aumento della disoccupazione sta mettendo in crisi anche lavoratori che hanno perso il lavoro in età non tanto avanzata. Ai sensi del comma 4 dell'art. 23 le sanzioni da applicarsi per la violazione dei limiti percentuali sono esclusivamente di natura amministrativa. Abbandono della soluzione in termini di indennizzo per il lavoratore assunto in eccedenza. Esclusione esplicita della trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato.

Principio di non discriminazione. A norma dell'art. 25, comma 1, «al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia obbiettivamente incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato». Il comma 2 riporta le stesse sanzioni amministrative previste per l'inosservanza degli obblighi di non discriminazione in precedenza contenute nell'

art. 12 del D.lgs. n. 368/2001

.

Questioni di legittimità costituzionale e di conformità all'accordo quadro europeo. L'eliminazione del requisito delle causali, sostituito da un limite percentuale derogabile dalla contrattazione collettiva, e la modifica del regime delle sanzioni possono suscitare dubbi sulla compatibilità della nuova disciplina con i principi costituzionali e con quelli dell'Unione europea.

In particolare ci si chiede se l'introduzione del sistema di a-causalità, non bilanciata da adeguati contrappesi, sia compatibile con il principio di ragionevolezza. Quanto al problema della conformità all'accordo-quadro europeo sul contratto a tempo determinato, il profilo di maggior spessore è quello riferito alla clausola di non regresso.

La sentenza della Corte di Giustizia - C-22/13 Mascolo

La sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, C-22/13 ss., Mascolo riveste uno specifico rilievo in quanto stabilisce che per contrastare l'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato l'ordinamento giuridico deve prevedere, nel complesso, "misure energiche", fortemente dissuasive. Ciò assicura la piena compatibilità comunitaria, sotto tale profilo, della disciplina nazionale.

La sentenza si è soffermata in particolare sull'interpretazione della clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro, finalizzata, come chiarisce la Corte di giustizia (punto 72), ad attuare uno degli

obiettivi

perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (v., in particolare, sentenze Adeneler e a., C

212/04, EU:C:2006:443, punto 63; Kücük,

C

586/10, EU:C:2012:39, punto 25, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 54).

Come risulta dal secondo comma del preambolo dell'accordo quadro, così come dai punti 6 e 8 delle considerazioni generali di detto accordo quadro, infatti, il beneficio della stabilità dell'impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, mentre soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori (sentenze Adeneler e a., EU:C:2006:443, punto 62, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 55).

La clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro impone agli Stati membri, al fine di prevenire l'utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l'adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a 1) ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla 2) durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al 3) numero dei rinnovi di questi ultimi (v., in particolare, sentenze Kücük, EU:C:2012:39, punto 26, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 56).

Gli Stati membri dispongono di un'ampia discrezionalità a tale riguardo, dal momento che essi hanno la scelta di far ricorso a una o a più misure enunciate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, oppure a norme giuridiche equivalenti già esistenti, e ciò tenendo conto, nel contempo, delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (v. sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 59 nonché giurisprudenza ivi citata). Così facendo, la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro fissa agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di siffatti abusi, lasciando loro nel contempo la scelta dei mezzi per conseguire ciò, purché essi non rimettano in discussione l'obiettivo o l'effetto utile dell'accordo quadro (sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 60).

Inoltre (punti 77 e 78) quando, come nel caso di specie il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche nell'ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 62 nonché giurisprudenza ivi citata).

Seppure, in mancanza di una specifica disciplina dell'Unione in materia, le modalità di applicazione di tali norme spettino all'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere però meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività) (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 63 nonché giurisprudenza ivi citata).

Da ciò discende che, quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell'Unione (sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 64 nonché giurisprudenza ivi citata).

A tale proposito, occorre ricordare che, come sottolineato ripetutamente dalla Corte, l'accordo quadro non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. Infatti, la clausola 5, punto 2, dell'accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. Da ciò discende che l'accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si può fare uso della conversione dei contratti (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 65 nonché giurisprudenza ivi citata).

Spetta pertanto al giudice del rinvio valutare in che misura i presupposti per l'applicazione nonché l'effettiva attuazione delle disposizioni rilevanti del diritto interno costituiscano una misura adeguata per prevenire e, se del caso, punire l'uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (v. sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 67 nonché giurisprudenza ivi citata).

Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può fornire, ove necessario, precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua valutazione (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 68 nonché giurisprudenza ivi citata).

Per quanto riguarda tale nozione di «ragioni obiettive» che figura nella clausola 5, punto 1, lettera a), dell'accordo quadro, la Corte ha già dichiarato che essa deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l'utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

Per contro, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale e astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non soddisfarebbe i requisiti precisati al punto precedente della presente sentenza. Infatti, una disposizione di tal genere, di natura puramente formale, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un'esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine. Una siffatta disposizione comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e l'effetto utile dell'accordo quadro (sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punti 28 e 29 nonché giurisprudenza ivi citata).

La Corte ha già dichiarato in numerose occasioni che il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, non è giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell'accordo quadro. Infatti, un utilizzo siffatto dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato è direttamente in contrasto con la premessa sulla quale si fonda tale accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell'impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività (sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punti 36 e 37 nonché giurisprudenza ivi citata).

L'osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a), dell'accordo quadro richiede quindi che si verifichi concretamente che il rinnovo di successivi contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato miri a soddisfare esigenze provvisorie. Occorre a tal fine esaminare di volta in volta tutte le circostanze del caso, prendendo in considerazione, in particolare, il numero di detti contratti successivi stipulati con la stessa persona oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro, al fine di escludere che contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, sebbene palesemente conclusi per soddisfare un'esigenza di personale sostitutivo, siano utilizzati in modo abusivo dai datori di lavoro (v., in tal senso, sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

L'esistenza di una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell'accordo quadro esclude quindi, in linea di principio, l'esistenza di un abuso, a meno che un esame globale delle circostanze sottese al rinnovo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato di cui trattasi riveli che le prestazioni richieste del lavoratore non corrispondono ad una mera esigenza temporanea (sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 51).

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