Parziale accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo e sorte delle spese di esecuzione
04 Settembre 2025
Massima In caso di accoglimento solo parziale dell'opposizione a decreto ingiuntivo, gli atti di esecuzione già compiuti in base al provvedimento monitorio conservano, a mente dell'art. 653, comma 2, c.p.c., i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta. Sono dunque da considerarsi legittime le procedure esecutive intraprese medio tempore, poiché fondate su di un titolo esecutivo all'epoca vigente. La richiesta di restituzione delle spese di esecuzione riferibili al quantum accertato come eccedente rispetto a quello (originariamente e provvisoriamente) azionato da parte creditrice deve dunque essere avanzata davanti al giudice dell'esecuzione nell'eventuale giudizio di opposizione all'esecuzione, atteso che, giusta il disposto dell'art. 91, comma 1, c.p.c., ogni determinazione relative alle spese di un singolo procedimento compete esclusivamente al giudice di quella causa e non ad altri. Il caso I due comproprietari di un immobile chiedevano e ottenevano contro la s.a.s. conduttrice del medesimo un decreto ingiuntivo per la restituzione del canone di locazione non versato dalla società per alcune mensilità. All'esito del giudizio di opposizioneex art. 645 c.p.c. instaurato dalla s.a.s., il decreto ingiuntivo veniva revocato, con condanna della società a corrispondere ai creditori opposti un quantum ridotto rispetto a quello in un primo momento determinato dal decreto ingiuntivo. L'adito Tribunale di Venezia, però, mancava di condannare gli opposti, come richiesto dagli opponenti, alla restituzione delle (indebite) spese dell'esecuzione forzata che, nel frattempo, era stata avviata azionando l'intero credito originariamente portato dal decreto ingiuntivo poi revocato. Avverso tale decisione veniva promosso giudizio d'appello, culminato con una nuova sentenza di condanna della s.a.s. recante una nuova rideterminazione del quantum dovuto alla parte creditrice. Per quanto particolarmente interessa nella presente sede, in punto di richiesta di restituzione delle spese di esecuzione avanzata dalla s.a.s. opponente, la decisione di secondo grado rilevava che, essendo stata l'opposizione a decreto ingiuntivo accolta solo in parte, gli atti di esecuzione già compiuti in base al provvedimento monitorio conservassero, a mente dell'art. 653 c.p.c., i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta; erano dunque da considerare legittime le procedure esecutive intraprese medio tempore, poiché fondate su di un titolo esecutivo all'epoca vigente; la pretesa restitutoria avanzata dalla conduttrice avrebbe pertanto dovuto essere avanzata davanti al giudice dell'esecuzione nell'eventuale giudizio di opposizione all'esecuzione, atteso che, giusta il disposto dell'art. 91,1°co., c.p.c., ogni determinazione relativa alle spese di un singolo procedimento compete esclusivamente al giudice di quella causa e non ad altri. Avverso tale provvedimento, la s.a.s. interponeva ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Per quanto di interesse ai fini del presente commento, con il quarto motivo la ricorrente denunciava, con riferimento all'art. 360, n. 4), c.p.c., «nullità della sentenza e/o del procedimento, in relazione agli artt. 615,617 e 653 c.p.c.», per avere la Corte d'appello negato il diritto di essa ricorrente di vedersi restituite quanto meno le spese di esecuzione riferibili alla quota di capitale ex post accertata eccedente rispetto a quanto provvisoriamente azionato dai creditori opposti. Lamentava che la Corte d'appello avesse erroneamente applicato l'art. 653 c.p.c., che prevede la conservazione degli effetti degli atti esecutivi solo nei limiti della somma o quantità ridotta, rilevando che la caducazione del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo avrebbe reso inesistenti tutti gli effetti successivi, comprese le spese sostenute per la sua esecuzione. La questione Il quesito sottoposto alla terza sezione della Cassazione riguarda la sorte della procedura esecutiva avviata sulla base di un decreto ingiuntivo, in caso di successiva revoca dello stesso; il quesito involge, conseguentemente, anche la sorte delle spese dell'esecuzione, e in particolare di quelle riferibili al quantum accertato come eccedente rispetto a quello (originariamente e provvisoriamente) azionato dai creditori. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte giudica il quarto motivo di ricorso infondato, aderendo completamente alle argomentazioni già spese dalla Corte d'appello di Venezia. Secondo la decisione che si commenta, infatti, del tutto correttamente la Corte d'appello avrebbe rilevato che, essendo stata l'opposizione a decreto ingiuntivo accolta solo in parte, gli atti di esecuzione già compiuti in base al provvedimento monitorio conservassero, a mente dell'art. 653, comma 2, c.p.c., i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta. Erano dunque da considerarsi legittime le procedure esecutive intraprese medio tempore, poiché fondate su di un titolo esecutivo (il decreto ingiuntivo) all'epoca vigente. La pretesa restitutoria riguardante le spese di esecuzione avanzata dalla conduttrice avrebbe pertanto dovuto essere avanzata davanti al giudice dell'esecuzione nell'eventuale giudizio di opposizione all'esecuzione, atteso che, giusta il disposto dell'art. 91, comma 1, c.p.c., ogni determinazione relativa alle spese di un singolo procedimento compete esclusivamente al giudice di quella causa e non ad altri. Osservazioni Nel caso di specie, il decreto ingiuntivo azionato quale titolo esecutivo è stato successivamente revocato, con contestuale pronuncia, all'esito del giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c., di una sentenza (pur sempre di condanna nei confronti dell'originario debitore) che ha però rideterminato nel quantum (riducendolo) l'ammontare dovuto alla parte creditrice. Si ricorda preliminarmente, a tal proposito, come l'accoglimento anche solo parziale dell'opposizione determini proprio la revoca del decreto ingiuntivo (in tal senso, Cass. civ., 23 settembre 2004, n. 19126). La vicenda è contigua, evidentemente, a quella riguardante la sorte dell'esecuzione forzata nel caso in cui la sentenza di condanna di primo grado venga (confermata sì, ma pur sempre) sostituita da quella di appello (secondo l'opinione che si preferisce, infatti, il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo condividerebbe la stessa natura del giudizio d'appello, quale mezzo di gravame destinato a concludersi con un provvedimento che si sostituisce al decreto impugnato). Sulla sorte dell'esecuzione forzata nel caso di conferma, all'esito del giudizio di appello, della decisione di condanna emessa in primo grado, possiamo ricordare l'esistenza di alcuni contrapposti orientamenti: secondo la giurisprudenza maggioritaria (espressa, tra le altre, da Cass. civ., 16 aprile 2013, n. 9161; Cass. civ., 14 ottobre 2015, n. 20593; Cass. civ., 14 novembre 2022, n. 33443), laddove l'esecuzione sia già stata promossa sulla base della sentenza di condanna di primo grado, poi fatta oggetto di impugnazione (e di riforma all'esito dell'impugnazione), la procedura esecutiva ben può proseguire sulla base delle statuizioni ivi contenute che abbiano trovato conferma in sede di impugnazione; resta fermo, ovviamente, che laddove l'esecuzione forzata non sia ancora stata iniziata, essa dovrà però direttamente intraprendersi sulla base della pronuncia di secondo grado, quale (unico) titolo esecutivo idoneo a reggerla, anche quando il dispositivo della sentenza di appello contenga esclusivamente il rigetto del gravame proposto e l'integrale conferma della sentenza di primo grado; secondo un orientamento più rigoroso (espresso, ad esempio, da Cass. civ., 11 giugno 2014, n. 13249), invece, poiché la sentenza di appello si sostituisce, dalla data della sua pubblicazione, alla sentenza di primo grado, priverebbe al contempo quest'ultima della sua idoneità a legittimare la prosecuzione della procedura esecutiva senza che sia necessario attenderne il suo passaggio in giudicato; da ultimo, secondo una lettura intermedia (proposta da Cass. civ., 8 febbraio 2013, n. 3074, Est. Frasca) nella fattispecie che stiamo considerando il titolo esecutivo sarebbe rappresentato dalla combinazione tra la sentenza di primo grado e quella d'appello. Nel caso che ci occupa, però, la fattispecie è direttamente regolata da una norma di legge, ossia il già richiamato art. 653, comma 2, c.p.c., il quale, da un lato, prevede che in caso di accoglimento solo parziale dell'opposizione a decreto ingiuntivo il titolo esecutivo sia costituito esclusivamente dalla sentenza, che si sostituisce al decreto impugnato; e, dall'altro, che gli atti di esecuzione già compiuti sulla base del decreto ingiuntivo (poi caducato) possano conservare i propri effetti, nei limiti della somma o della quantità ridotta. Dunque, se dal momento della pronuncia della sentenza resa all'esito del giudizio ex art. 645 c.p.c., il decreto ingiuntivo (revocato) non è più idoneo a reggere l'inizio o la prosecuzione dell'azione esecutiva; dall'altro, se tale sentenza almeno in parte conferma quanto statuito nel decreto ingiuntivo, non tutta la procedura esecutiva è destinata a essere travolta, ben potendo, almeno in parte, continuare ad essere retta sulla base della sentenza di condanna sostitutiva del decreto ingiuntivo, ed essere fatti salvi gli atti esecutivi già compiuti, nei limiti della somma o della quantità ridotta. In punto di spese dell'esecuzione, ciò significa che dovranno essere restituite al debitore quelle sostenute per aver subito l'esecuzione per un quantum successivamente accertato come non dovuto. In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di merito, secondo la quale l'accoglimento parziale dell'opposizione, sebbene implichi la revoca del decreto, non comporta necessariamente il venir meno della condanna dell'ingiunto, poi opponente, al pagamento delle spese della fase monitoria e di quelle attinenti all'esecuzione provvisoria del decreto, le une e le altre potendo essere legittimamente poste a carico del debitore, con riferimento ai limiti della somma definitivamente attribuita al creditore (così, Trib. Roma, sez. II, 8 gennaio 2016, n. 152; Trib. Milano, sez. VII, 13 luglio 2012, n. 8613). Ciò chiarito, qual è la sorte delle spese dell'esecuzione (indebitamente) sostenute dalla parte debitrice, una volta che sia accertata la parziale inesistenza della pretesa creditoria (originariamente e provvisoriamente) azionata in sede esecutiva, e qual è la sede per chiederne la restituzione (questione che, ovviamente, non dev'essere confusa con quella riguardante la sede per chiedere la restituzione della prestazione indebitamente effettuata all'esito della procedura esecutiva)? Il provvedimento in commento, scontata la ripetibilità, per la parte debitrice, di tali spese, esclude che la relativa pretesa restitutoria possa essere veicolata all'interno del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, individuando la corretta sede nell'opposizione all'esecuzione che parte debitrice avrebbe allora dovuto avviare per reagire a un'esecuzione intentata per un quantum ritenuto eccedente rispetto a quello (solo successivamente accertato come) effettivamente dovuto. Sicuramente condivisibile è la prima affermazione compiuta: lo stesso infatti accade, mutatis mutandis, e in applicazione del c.d. effetto espansivo esterno disciplinato dall'art. 336, comma 2, c.p.c., nel caso in cui sia riformata in appello una sentenza di condanna di primo grado già posta in esecuzione forzata, eventualità in cui il debitore esecutato ha diritto alla restituzione non solo del capitale pagato sulla base del titolo successivamente riformato, ma anche delle somme corrisposte per le spese del giudizio di esecuzione sostenute dal creditore esecutante (così, Cass. civ., 3 febbraio 2016, n. 2135; Cass. civ., 14 ottobre 2008, n. 25143). La decisione in epigrafe, poi, esclude, come già chiarito, la possibilità per il debitore di far valere tale pretesa restitutoria anche all'esito del giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. Così disponendo, la Suprema Corte si discosta da un suo precedente (Cass. civ., 13 gennaio 2010, n. 379) che, in una fattispecie simile, aveva rilevato che “la caducazione del decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo rende evidentemente inesistenti tutti gli effetti che lo stesso abbia successivamente prodotto, comprese dunque le spese sostenute per la sua esecuzione; è assurdo, infatti, pretendere che il debitore per avere diritto alla ripetizione delle somme stesse debba proporre opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., che peraltro non avrebbe giuridico fondamento stante la presenza di un valido titolo esecutivo sia pure provvisorio. Il creditore, nel momento in cui chiede la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ex art. 648 c.p.c., evidentemente si accolla tutti i rischi connessi con la possibile successiva revoca dello stesso e quindi con l'intervenuta caducazione del titolo esecutivo provvisorio”. Tale decisione aveva tuttavia riguardo al caso dell'accoglimento integrale dell'opposizione a decreto ingiuntivo (fattispecie in cui, dunque, non può operare il disposto dell'art. 653,2°co., c.p.c.): motivo per cui il provvedimento in commento si discosta dalla conclusione raggiunta. Si potrebbe osservare, peraltro, come la ratio espressa dalla pronuncia del 2010 possa mantenere la propria validità anche in relazione al caso di specie, avendo riguardo alla (sola) parte del decreto ingiuntivo caducato e agli atti della procedura esecutiva caducati di conseguenza (e in relazione ai quali la parte debitrice ha maturato il diritto alla restituzione delle spese dell'esecuzione). In altri termini, l'art. 653, comma 2, c.p.c., può potrebbe essere letto nel senso per cui gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto, eccedenti la somma o la quantità ridotta dalla sentenza di accoglimento parziale dell'opposizione ex art. 645 c.p.c. che ha sostituito il decreto medesimo, vengono caducati, con la conseguente insorgenza, in capo alla parte debitrice, di un credito per la restituzione delle spese di esecuzione, relative a tali atti, che le siano state indebitamente addebitate: pretesa creditoria che, allora, la stessa potrà veicolare – per lo meno anche – in quella sede, senza essere necessariamente onerata dell'instaurazione di un'opposizione all'esecuzione, almeno nei casi in cui, in conseguenza del maturare di preclusioni di natura processuale, vi sia un'impossibilità di fatto o di diritto a farla valere in sede di opposizione all'esecuzione (ossia, secondo una logica simile a quella che ha guidato Cass. civ., sez. un., 21 settembre 2021, n. 25478, in relazione all'individuazione del giudice competente a conoscere della domanda di risarcimento dei danni provocati da un'esecuzione forzata avviata senza la normale prudenza, che l'art. 96, comma 2, c.p.c. attribuisce al giudice che accerta l'inesistenza del diritto). Riferimenti Sulle specifiche questioni si rinvia, oltre alla giurisprudenza citata nel testo, a Bongiorno, voce Spese giudiziali, in Enc. giur., XXX, Roma, 1991; Capponi, Diritto dell'esecuzione civile, Torino, 2025; Garbagnati , Il procedimento d'ingiunzione, 2°ed. a cura di A.A. Romano, Milano, 2012 ; Scarselli, Le spese giuridiche civili, Milano, 1998; Tedoldi, Esecuzione forzata, Pisa, 2023. |