Revocazione per contrarietà alla CEDU: quali presupposti?

01 Settembre 2025

Due sono le questioni poste dalla sentenza in commento che appaiono di particolare interesse: in primo luogo, l'identificazione delle situazioni giuridiche soggettive che consentono di accedere al rimedio eccezionale dell'art. 391-quater; in secondo luogo, la configurabilità di una questione di legittimità costituzionale per l'esistenza di una disparità di trattamento tra situazioni giuridiche soggettive di pari grado, status e diritti assoluti, in particolare diritti assoluti derivanti da status, nell'accedere a questo rimedio straordinario.

Massima

La nuova ipotesi di revocazione per contrarietà alla CEDU, di cui all'art. 391-quater c.p.c., presuppone che la decisione nazionale passata in giudicato, il cui contenuto sia stato dichiarato contrario alla Convenzione o ad uno dei suoi Protocolli, abbia arrecato un pregiudizio che si risolve nella negazione o nel tardivo riconoscimento di uno status personale al quale si abbia diritto ovvero nell'illegittima attribuzione di uno status personale che si neghi di possedere e che l'equa indennità, eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell'art. 41 della Convenzione, non sia idonea a compensare le conseguenze della violazione, non essendo, pertanto, configurabile allorquando la domanda proposta nel giudizio definito con la sentenza passata in giudicato di cui si invoca la revocazione abbia avuto essa stessa ad oggetto una tutela meramente risarcitoria o, comunque, per equivalente, e ciò anche se il diritto oggetto della sentenza sia un diritto fondamentale della persona, ma non di stato.

Il caso

I familiari di una persona deceduta per intossicazione acuta da cocaina mentre si trovava in stato di fermo presso la questura di Milano presentavano domanda di risarcimento danni al Tribunale di Milano contro il Ministero degli interni. In primo grado il giudice esaminata tutta la documentazione concludeva per il comportamento negligente degli agenti di polizia e quindi condannava il Ministero al risarcimento del danno per la perdita del congiunto. La sentenza di primo grado veniva impugnata dal Ministero davanti alla Corte d'appello di Milano, che ribaltava la sentenza di primo grado. La sentenza d'appello veniva confermata anche in cassazione.

Avendo esaurito i rimedi interni, i congiunti si rivolgevano alla Corte europea dei diritti dell'uomo, denunciando la violazione da parte del Governo italiano dell'art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, norma tutela il diritto alla vita.

Con sentenza del 14 settembre 2023, resa sul ricorso n. 2264/12, la Corte UE concludeva che il Governo non avesse dimostrato in modo convincente che le autorità avessero offerto al soggetto arrestato e fermato una protezione adeguata e ragionevole della vita come prescritto dall'articolo 2 della Convenzione. Perciò, in applicazione dell'art. 41 della Convenzione (norma secondo la quale “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa”) viene condannato il Governo italiano al risarcimento dei danni non patrimoniali ai congiunti del deceduto, mentre viene rigattata la domanda per quel che concerne i danni patrimoniali, ritenuti non provati.

A seguito della sentenza della Corte dei diritti dell'uomo, i congiunti presentavano domanda di revocazione ex art. 391-quater c.p.c. della pronuncia della Corte di cassazione con la quale era stata confermata la sentenza d'appello.

La questione

Due sono le questioni poste dalla sentenza in commento che appaiono di particolare interesse: in primo luogo, l'identificazione delle situazioni giuridiche soggettive che consentono di accedere al rimedio eccezionale dell'art. 391-quater; in secondo luogo, la configurabilità di una questione di legittimità costituzionale per l'esistenza di una disparità di trattamento tra situazioni giuridiche soggettive di pari grado, status e diritti assoluti, in particolare diritti assoluti derivanti da status, nell'accedere a questo rimedio straordinario.

Le soluzioni giuridiche

A seguito delle sollecitazioni anche della Corte costituzionale (C. cost. 26 maggio 2017, n. 123; Id., 21 marzo 2018, n. 93), il legislatore con la legge delega n. 206/2021, all'art. 1, comma 10, ha previsto che: "Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di revocazione a seguito di sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere che, ferma restando l'esigenza di evitare duplicità di ristori, sia esperibile il rimedio della revocazione previsto dall'art. 395 del codice di procedura civile nel caso in cui, una volta formatosi il giudicato, il contenuto della sentenza sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ovvero a uno dei suoi Protocolli e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente…".

L'ampia formulazione presente nella legge delega è stata limitata dal legislatore delegato (d.lgs. n. 149/2022) alla previsione della possibilità di chiedere la revocazione di decisioni passate in giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contraria alla Convenzione o ai suoi protocolli, a due condizioni:

1) che la violazione riguardi un diritto di stato della persona; 2) che l'equa indennità accordata dalla Corte EDU non sia idonea a compensare le conseguenze della violazione.

In proposito nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022 si è chiarito che " i casi in cui il rimedio risarcitorio è tendenzialmente inidoneo a rimuovere le conseguenze della violazione convenzionale sono stati individuati attraverso il riferimento alle violazioni di un diritto di stato della persona. Per questi diritti, infatti, il rimedio risarcitorio, in quanto finalizzato ad attribuire un'utilità economica alternativa, spesso si rivela non del tutto satisfattivo".

L'espressione “diritto di stato della persona” può significare sia il diritto a chiedere il riconoscimento di un certo status, sia comprendere anche i diritti derivanti dallo status riconosciuto. La Cassazione ha prediletto un'interpretazione restrittiva dell'espressione utilizzata dal legislatore, da intendersi come diritto di vedersi riconosciuto un determinato status giuridico. Gli status coinciderebbero con “le posizione giuridiche fondamentali che la persona assume nell'ambito della società e del nucleo familiare”. Ad opinione della Cassazione, infatti, solo queste situazioni giuridiche soggettive non potrebbero trovare ristoro in un equivalente monetario e quindi richiederebbero la riapertura del processo chiuso da giudicato, qualora una sentenza della Corte EDU ne riconosca illegittima attribuzione o negazione.

La seconda questione concerne la legittimità costituzionale dell'art. 391-quater posta dal ricorrente sotto due profili diversi. Il primo dubbio riguarda una sorta di eccesso di delega in quanto il rimedio viene circoscritto ai “diritti di stato”, limitazione di cui non si farebbe menzione nella legge delega (artt. 76 e 77 Cost.). Il secondo dubbio di legittimità costituzionale è legato all'interpretazione restrittiva data Procura Generale alla suddetta espressione che secondo i ricorrenti sarebbe palesemente lesiva dei principi di uguaglianza e ragionevolezza (art.3 Cost.), dei diritti fondamentali dell'uomo (art. 2 Cost.) e del diritto di difesa (art. 24 Cost.)": la limitazione ai soli "diritti di stato" strettamente intesi, circoscritti alle sole c.d. azioni di stato, configurerebbe “una irragionevole disparità di trattamento tra diverse tipologie di diritti fondamentali, discriminando ingiustificatamente tra soggetti che hanno subito violazioni dei diritti umani".

La Corte respinge i dubbi di legittimità costituzionale bollandoli in parte come manifestamente infondati e in parte anche come non rilevanti ai fini della decisione.

In ordine alla prima questione, la Corte sottolinea come il limitato esercizio del potere esercitato con la delega non determini affatto un problema di legittimità costituzionale, semmai un problema di carattere politico, un'eventuale responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento.

In ordine alla seconda questione, la Corte non dà una vera e propria risposta perché sminuisce il dubbio di legittimità per l'irrilevanza che esso ha nel giudizio in atto: il danno morale derivante dalla perdita di un congiunto non può che trovare ristoro in nel riconoscimento di una somma di danaro, non nella rimozione del giudicato; quindi, anche se il legislatore delegato avesse esercitato la delega in tutta la sua ampiezza, nel caso di specie non avrebbe comunque trovato applicazione l'art. 391-quater c.p.c. Tanto più che la Corte EDU ha aveva già riconosciuto come ristoro del danno morale subito una somma di denaro e ciò dalla Cassazione viene ritenuto sufficiente.

Osservazioni

L'atteggiamento della Corte di cassazione è piuttosto cauto: lo scopo del giudice di legittimità sembra essere quello garantire la tenuta del sistema e, quanto più possibile, di un istituto fondamentale nel diritto processuale quale è il giudicato nazionale.

Non c'è dubbio che l'illegittima attribuzione o negazione di uno status non possa che essere effettivamente riparata con la rimozione del relativo giudicato, anche in aggiunta di un eventuale indennità riconosciuta dalla Corte EDU. Solo in questo modo, del resto, è possibile l'attribuzione dei diritti soggettivi allo status collegati da un rapporto di pregiudizialità dipendenza.

Il dubbio che viene lasciato irrisolto dalla Corte è se vi possano essere altre situazioni giuridiche soggettive, che pur meritando anche un risarcimento in danaro, trovino un'effettiva riparazione solo attraverso il dictum irretrattabile di un giudice. Se nel caso di specie può aversi il dubbio sull'effettiva utilità pratica della rimozione del giudicato, non è da escludere che in futuro si possano presentare in altri casi dubbi di legittimità costituzionale. Questi potrebbero spingere le alte Corti ad andare più a fondo su una questione che non è solo politica, perché abbiamo una delega legislativa che non è stata esercita fino in fondo, con possibili vuoti di tutela.

Riferimenti

Mondini, La nuova, limitata, ipotesi di revocazione straordinaria di decisioni contrarie alla CEDU, in Judicium, 17 Gennaio 2023;

Scarselli, Note sulla nuova revocazione di cui all'art. 391-quater c.p.c. per contrarietà del giudicato alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in Judicium, 22 Aprile 2024.

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