La sentenza n. 41870 del 18 settembre 2024 della I sezione penale della Corte di cassazione
Il caso all'attenzione del Giudici di Piazza Cavour concerneva un grave episodio di sangue accaduto in provincia di Messina. L'imputato doveva rispondere di duplice omicidio, di tentato omicidio di una terza persona, della ricettazione, detenzione e porto dell'arma utilizzata per commettere gli omicidi; esclusa la configurabilità della legittima difesa ovvero dell'eccesso colposo di tale causa di giustificazione, la Corte d'assise in primo grado aveva applicato al prevenuto la pena di trent'anni di reclusione, sanzione confermata anche in appello.
Nei motivi di ricorso, in particolare, ci si doleva della mancata applicazione della riduzione di pena per il giudizio abbreviato, rito che l'imputato aveva tempestivamente richiesto (subordinandolo all'assunzione di una consulenza di parte e all'audizione di un testimone) ma che il Giudice dell'udienza preliminare non aveva ammesso in ragione della contestazione dell'aggravante dei futili motivi. La Corte d'assise, pur escludendo l'aggravante all'esito del dibattimento, non aveva concesso la riduzione di pena in quanto l'istanza di giudizio abbreviato non era stata riproposta negli atti preliminari al dibattimento. Tale decisione veniva condivisa anche dalla Corte d'assise d'appello, secondo cui l'istanza di rito alternativo avrebbe dovuto essere riproposta poiché subordinata all'acquisizione di un'integrazione probatoria.
Secondo la difesa la decisione di secondo grado appariva conforme al diritto vivente, ove è possibile distinguere fra il caso della richiesta di abbreviato non condizionato (cd. secco), dichiarata inammissibile per il titolo di reato, e quello della richiesta di abbreviato condizionato, respinta perché l'integrazione probatoria non viene ritenuta necessaria: solo nel primo caso, infatti, troverebbe applicazione quanto prevede la prima parte del comma 6-ter dell'art. 438 c.p.p., norma che non prevede la necessità di riproporre la richiesta di rito sommario.
Tuttavia, nell'ipotesi in esame sarebbe configurabile un tertium genus, posto che la richiesta di abbreviato condizionato è stata dichiarata inammissibile non per una valutazione sulla antieconomicità del rito, bensì per effetto del divieto introdotto dalla legge n. 33 del 2019: anche in tal caso, secondo la prospettazione difensiva, dovrebbe applicarsi la prima parte dell'art. 438, comma 6-ter, con conseguente riduzione della pena all'esito del dibattimento e senza alcuna necessità di preventiva reiterazione dell'istanza.
Ebbene, i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto fondato questo motivo di ricorso attraverso un articolato ragionamento che si è sviluppato anche oltre le argomentazioni suggerite dalla difesa.
In sentenza, infatti, si parte dal presupposto che «non è corretto ritenere che il primo periodo dell'art. 438, comma 6-ter, c.p.p. regolamenti il rito abbreviato secco ed il secondo periodo il rito abbreviato condizionato, perché, in realtà, questa distinzione non c'è nelle due previsioni del comma 6-ter, che differenziano il regime del recupero del rito o della riduzione della pena per il rito non in base alla tipologia di giudizio abbreviato richiesta dall'imputato, ma in base alla motivazione della dichiarazione di inammissibilità o del rigetto della richiesta di rito alternativo: se il rifiuto dell'accesso al rito avviene ai sensi del comma 1-bis si ricade nel primo periodo, in tutti gli altri casi si ricade nel secondo periodo».
Non esiste quindi alcun tertium genus, giacché non è corretto sostenere che il comma 1-bis dell'art. 438 c.p.p. (in forza del quale, lo si rammenta, non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo) riguardi solo le ipotesi di abbreviato cd. secco. La norma de qua, infatti, non prevede alcuna limitazione in tal senso, e tantomeno esiste una disposizione codicistica che prevede l'inammissibilità del giudizio abbreviato condizionato per effetto del titolo di reato contestato. Tali due circostanze, pertanto, inducono a ritenere che «la dichiarazione di inammissibilità dell'abbreviato condizionato per la incompatibilità della pena edittale del delitto contestato deve ritenersi disciplinata dal comma 1-bis dell'art. 438 c.p.p., esattamente come la richiesta di abbreviato secco».
Nel caso di specie, di conseguenza, deve essere applicata la disciplina prevista dal primo periodo del comma 6-ter dell'art. 438, senza quindi alcuna necessità di riproporre l'istanza di giudizio abbreviato.
Peraltro, osserva la Corte di cassazione, deve ormai considerarsi superato il principio stabilito dalle sezioni unite con la sentenza n. 44711 del 27.10.2004, Wajib, che appunto prevedeva che, in caso di rigetto della richiesta di abbreviato condizionato, l'istanza dovesse essere riproposta prima dell'apertura del dibattimento: l'intervenuta dichiarazione di inammissibilità del rito nei casi di reati punti con la pena perpetua, infatti, ha mutato il quadro normativo inibendo a monte l'accesso al giudizio abbreviato, condizionato o meno, e prevedendo poi l'ipotesi di un eventuale recupero postumo dello sconto di pena.
Peraltro, si osserva, già nel 2023 la stessa prima sezione penale aveva affermato che «la pretesa che l'imputato reiteri nel predibattimento la richiesta, per poter poi vedersi riconosciuto lo sconto di pena all'esito del dibattimento che abbia ricondotto l'imputazione ad un reato non incompatibile con lo svolgimento del rito abbreviato, è priva di giustificazione» (così Cass. pen., sez. I, 6 giugno 2023, n. 35808, Agache).
Inoltre, la Suprema Corte ha ritenuto che, nel caso in cui l'inammissibilità del giudizio abbreviato derivi dall'applicazione del comma 1-bis dell'art. 438 c.p.p., il recupero dello sconto di pena all'esito del giudizio non deve essere preceduto da alcuna valutazione in ordine alla necessarietà dell'integrazione richiesta e all'economia processuale. Questo tipo di valutazione, infatti, non è contemplata dal primo periodo del comma 6-ter dell'art. 438 c.p.p., che - come visto - non distingue fra abbreviato secco e condizionato; inoltre, è stato più volte stabilito che la compatibilità dell'integrazione probatoria con le esigenze di economia processuale deve essere valutata al momento della richiesta del rito e non già ex post (sul punto si veda anche quanto affermato in proposito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 54 del 2002).
Tale principio deve essere affermato anche in caso di un giudizio abbreviato condizionato all'assunzione di prove palesemente sovrabbondanti; ciò in quanto «la dichiarazione di inammissibilità ai sensi del comma 1-bis, per la sua natura priva di elementi di discrezionalità valutativa, non consente alla difesa dell'imputato alcuna diversa modulazione della richiesta. La compressione dei poteri della difesa dell'imputato in sede di contestazione della decisione del giudice dell'accesso al rito viene, pertanto, recuperata ex post mediante l'attribuzione all'imputato, in caso di riqualificazione della fattispecie contestata, del diritto, non ulteriormente condizionato, ad ottenere la riduzione della pena per il rito».
In buona sostanza: l'applicazione del comma 1-bis dell'art. 438 c.p.p. non può essere di oggetto di valutazione del giudice e, al contempo, comprime i diritti della difesa; ragion per cui, se all'esito del dibattimento si accerta che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, dovrà essere applicata comunque la riduzione di pena prevista per il rito, anche nell'ipotesi di manifesta antieconomicità della richiesta (richiesta quindi che, se non vi fosse stata la preclusione introdotta dal comma 1-bis, sarebbe stata verosimilmente respinta ai sensi del quinto comma dell'art. 438 c.p.p.).
Pertanto, sulla base delle considerazioni fino ad ora esposte, la Corte di cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, lo sconto di pena potesse essere applicato direttamente in sede di legittimità e, per l'effetto, ha disposto l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio ai sensi dell'art. 620 c.p.p.; all'imputato è stata così applicata la pena di venti anni di reclusione.