Compensazione delle spese processuali per la novità della questione trattata

26 Giugno 2025

Nella fattispecie esaminata dalla Corte di cassazione, il ricorrente lamentava che la complessità delle questioni trattate faceva del caso un unicum nel panorama giurisprudenziale; e che la non univocità degli orientamenti tecnico-scientifici relativi alla causalità del lamentato danno alla persona rendevano inaffidabili le conclusioni del collegio peritale, con conseguente spazio ad una valutazione complessiva della vicenda aperta alla compensazione delle spese.

Massima

La assoluta novità della questione trattata, che può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., non deve investire necessariamente la sola sua valutazione giuridica ma può anche riguardarnela dimensione fattuale; pertanto, ha rilevanza a giustificare la compensazione tra le parti non soltanto la mancanza di precedenti giurisprudenziali riguardo alla specifica questione sub iudice ma pure il suo riferimento ad una determinata situazione territoriale nonché a quanto è noto in un certo momento storico.

Il caso

In una combattuta controversia, giunta al secondo grado di giudizio, in tema di responsabilità da attività pericolosa (industriale) e di danni da malformazione causata dall'asserito inquinamento ambientale cagionato dalle lavorazioni produttive, la Corte di appello confermò la sentenza di rigetto della domanda e condannò la parte attrice a sostenere le spese di entrambi i gradi del giudizio, sul punto riformando la pronuncia che aveva compensato gli esborsi. Il procedimento era stato caratterizzato dai pesanti contrasti tra i consulenti tecnici e dalla diversità delle valutazioni espresse nelle loro relazioni. Le conseguenti oggettive insufficienze probatorie e, inoltre, l'incertezza dei riferimenti a precedenti giurisprudenziali ritenuti “ondivaghi”, non avevano consentito di accogliere le domande attoree. E, se il tribunale aveva rinvenuto nelle vicende di causa i motivi per compensare le spese, a parere del secondo giudice la loro regolazione avrebbe invece dovuto seguire i criteri della soccombenza.

La questione

Con il ricorso si è opposto che la complessità delle questioni trattate faceva del caso un unicum nel panorama giurisprudenziale; e che la non univocità degli orientamenti tecnico-scientifici relativi alla causalità del lamentato danno alla persona rendevano inaffidabili le conclusioni del collegio peritale, con conseguente spazio ad una valutazione complessiva della vicenda aperta alla compensazione delle spese.

Le soluzioni giuridiche

Per la Corte il giudice di merito non aveva adeguatamente considerato che, per poter essere ritenuta quale ragione per compensare le spese di processo, la assoluta novità della questione trattata non deve, e necessariamente, essere valutata sotto il profilo dei suoi aspetti in diritto ma può emergere anche dai riferimenti alle particolari situazioni di fatto che danno occasione alla controversia. Nella vicenda esaminata il mancato accoglimento della domanda attrice era dipeso da un oggettivo deficit cognitivo in ordine al nesso causale tra le lavorazioni e la malattia oggetto della vicenda specifica; sicchè, concludeva il collegio, una lettura della “novità” della questione da decidere limitata al solo piano giuridico non faceva giustizia delle ragioni, in fondo equitative, che avrebbero consentito di derogare alla regola della soccombenza ex art. 92, comma 2, c.p.c.

Osservazioni

Come spesso è accaduto, anche la pronuncia in oggetto ha dietro di sé un lungo percorso di adattamento della normativa con la conseguente evoluzione nel tempo dell'interpretazione e dell'applicazione giurisprudenziale.

Nel testo originario l'art. 92, comma 2,  c.p.c. si limitava a disporre che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. La norma lasciava ampio spazio alla discrezionalità del decidente, al cui libero apprezzamento era sostanzialmente affidata la scelta di seguire il criterio della soccombenza o di distaccarsene. Erano i tempi della fiducia nelle istituzioni e nella saggezza del giudicante. La prova sul campo fece però comprendere che una assoluta libertà di ripartire il carico delle spese tra le parti senza un criterio guida era forse eccessiva. Già Cass. civ., sez. lav., n. 2444/1974 avvertì che il giudice di merito era tenuto a indicare, sia pure in forme succinte, le particolari ragioni che lo avevano indotto a mitigare il rigore del principio della soccombenza. Il generico riferimento a ciò che è semplicemente ed equitativamente giusto si era prestato, nelle applicazioni pratiche, a giustificare decisioni ispirate semplicemente ad evitare i complicati calcoli della liquidazione su tariffa. Il dover dare una espressa spiegazione della scelta adottata fu ritenuto una significativa limitazione. La disposizione dettata dall'art. 92 fu interpretata, comunque, senza particolari riserve e tra le motivazioni della compensazione fu indicata ripetutamente anche l'opinabilità e la novità della questione (Cass. civ., sez. lav., n. 2885/1979, in tema di interpretazione del dato contrattuale).

L'art. 2 della legge n. 263/2005 raccolse l'esigenza di poter conoscere il perché della deroga alla regola dell'accollo delle spese al soccombente e inserì nel testo dell'art. 92, comma 2, c.p.c. la disposizione secondo cui i motivi dovevano essere “esplicitamente indicati nella motivazione”.  L'art. 45 della legge n. 69/2009 lasciò poi nel testo dell'art. 92 quella disposizione e sostituì il riferimento agli “altri giusti motivi”, che unitamente alla soccombenza reciproca giustificavano la compensazione, con l'espressione "altre gravi ed eccezionali ragioni”. Mentre rimaneva l'obbligo per il giudice di spiegare nel suo provvedimento i motivi della scelta diversa da quella della condanna per soccombenza, i “giusti motivi” acquisirono una certa quale definizione, posto che diventarono “ragioni” (quindi, argomentazioni logicamente motivate) “gravi” (pertanto non trascurabili e serie) ed “eccezionali” (niente affatto ordinarie e comuni). Nelle applicazioni pratiche delle nozioni di gravità e di eccezionalità venne ribadita la rilevanza della novità della questione trattata; dovendosi far capo, si disse, ad un criterio necessariamente elastico, anche la novità della materia del decidere doveva essere ricondotta alle nozioni di ragioni gravi ed eccezionali, quali potevano essere il caso della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma su cui era fondato il provvedimento impugnato: Cass. civ., sez. II, ord., n. 11815/2018; nonché il caso della sopravvenienza di modifiche normative dopo l'inizio del giudizio: Cass. civ., sez. II, n. 24234/2016).  

L'art. 13 del d.l. n. 132/2014 ha successivamente sostituito il secondo comma dell'art. 92 il quale non contiene più il richiamo all'obbligo del giudice di chiarire con una motivazione la scelta di disporre la compensazione; ed attualmente dispone che il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, non soltanto se vi è soccombenza reciproca ma anche nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti del giudizio. Soltanto due, ne risultavano pertanto, le fattispecie ammissive della compensazione diverse dalla soccombenza reciproca: la novità della questione e il mutamento della giurisprudenza. Con l'intervento il legislatore tentava di giungere ad una delimitazione per quanto possibile precisa e circoscritta dei casi in cui il giudice può abbandonare la regola che rende responsabile delle spese processuali il soccombente che ad esse ha dato causa. Ma sopraggiunse la Corte costituzionale a turbare i risultati così raggiunti. Con sent. n. 77/2108 essa dichiarò l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 92 nella parte in cui esso non prevedeva che il giudice potesse compensare le spese tra le parti anche quando sussistono “altre gravi ed eccezionali ragioni”. Su questa base Cass. civ., sez. VI, ord. n. 3977/2020, fra le altre, affermò che la compensazione delle spese (oltre che per reciproca soccombenza) può essere disposta soltanto nell'eventualità della assoluta novità della questione trattata o del mutamento di giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o [e da qui risulta pagato il dovuto debito alla Corte cost., n.d.r.] nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall'art. 92, comma 2 c.p.c.

La pronuncia della Corte costituzionale ha ricondotto la situazione a quella che derivava dalla modifica apportata dalla legge n. 69/2009. In pratica, la compensazione è consentita oggi quando sussistono gravi ed eccezionali ragioni che si pongono come “altre” rispetto a quelle espressamente previste a titolo di novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti. Ma rispetto ad allora può dirsi che la novità e il mutamento devono partecipare dei caratteri della gravità e della eccezionalità rivestiti dalle “altre ragioni”: non essendo sufficiente che una questione debba essere decisa per la prima volta o che il mutamento di giurisprudenza non sia dirimente.

In cosa, di preciso e in specie, debba consistere poi la novità di una questione non è mai stato stabilito con chiarezza. Da subito la normativa dettata dall'art. 92, comma 2, c.p.c., era stata interpretata alla stregua di una disposizione di natura “elastica”, con esercizio di poteri rimessi alla discrezione del giudice e aventi limite unicamente nella illogicità palese delle ragioni enunciate (con conseguente censurabilità in Cassazione) e nel divieto di porre le spese processuali a carico della parte vittoriosa. In questo quadro di condivisa ampiezza le acquisizioni interpretative si sono limitate ad una esposizione di casistica: la novità della questione giuridica in quanto mai sollevata prima negli stessi termini (Cass. civ. n. 4696/2019); l'inconciliabilità delle soluzioni diverse adottate (Cass. civ. n. 7992/2022); l'obiettiva incertezza del diritto controverso (Cass. civ. n. 21157/2019); l'assenza di un orientamento univoco  o consolidato all'epoca dell'insorgenza della controversia (Cass. civ. n. 24324/2016); l'estrema opinabilità delle soluzioni proposte e la complessità delle questioni da risolvere (Cass. civ. n. 770/2003); la novità del documento prodotto in appello (Cass. civ. n. 2869/1988).

La sentenza della Corte di cassazione che qui si annota si inserisce in quello che in sostanza è un ritorno a normative pregresse. Essa presenta, tuttavia, un aspetto di interesse, costituito da affermazioni che conducono ad una nozione più estesa di novità del decidere quale ragione che giustifica la compensazione delle spese tra le parti. La novità della questione da trattare, si  afferma nella pronuncia, non consiste unicamente nel dover affrontare un interrogativo in diritto per il quale mancano i precedenti interpretativi di possibile aiuto a fornire la risposta. E' ovvio che, dovendosi fornire alle parti una pronuncia fondata sull'applicazione della legge al caso concreto, l'interpretazione della norma calzata sulla fattispecie rappresenta il nocciolo essenziale dell'attività giurisprudenziale; ed è frequente che la multiformità delle vicende umane presenti evenienze sempre nuove e difficili da ricondurre a schemi prefissati. Ma il senso della decisione della Corte di cassazione è di ordine pragmatico: la novità della questione può derivare dall'articolazione delle circostanze di fatto, indipendentemente dagli aspetti giuridici cui fare riferimento. La vicenda esaminata costituisce un chiaro esempio di cosa intendeva il collegio. Indiscussi, nel caso, i principi per cui l'attività industriale è pericolosa e può cagionare alle persone danni dei quali è dovuto il risarcimento, di fatto non risultava possibile stabilire se la lesione sofferta dall'attore era in relazione di effetto a causa con le lavorazioni cui era stato esposto. E ciò non per l'inadempimento dell'onere della prova spettante all'attore ma per una oggettiva situazione di impossibilità di raggiungere un accertamento al riguardo. Questa impossibilità non era stata vinta dai mezzi probatori che l'interessato aveva potuto fornire; né era stata superata dal collegio peritale d'ufficio e dai consulenti delle parti. Ne derivava che erano mancati i presupposti per accogliere la domanda attrice ma, anche, che non potevano essere posti totalmente a carico dell'attore sfortunato le spese del processo al quale non era stata data una risposta di certezza.

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