Obbligo della consulenza tecnica collegiale nei giudizi di responsabilità sanitaria
25 Giugno 2025
Nel caso esaminato dai giudici, il giudizio risarcitorio per malpractice sanitaria era stato introdotto in data successiva all’entrata in vigore della legge (1 aprile 2017) ma era stato preceduto da un procedimento di «consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite» ex art. 696-bis c.p.c. espletato anteriormente. Di qui la prima questione riguardante l'applicabilità, ratione temporis, della norma di cui all'art. 15 legge n. 24/2017. Si tratta di stabilire se, posta la natura processuale della norma evocata (art. 15 legge n. 24/2017) e l'applicabilità ad essa del principio tempus regit actum, il tempus cui aver riguardo sia quello della introduzione del procedimento cautelare prodromico di cui all'art. 696-bis c.p.c. o quello della introduzione del giudizio di merito. La seconda questione, subordinata, attiene alle conseguenze della inosservanza della previsione che richiede, «nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'affidamento dell'incarico ad un collegio di consulenti ("un medico specializzato in medicina legale e... uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento»). Rispetto alla prima questione, la Corte chiarisce che il discrimine temporale per l'applicazione della disciplina contenuta nell'art. 15 deve individuarsi nel momento di introduzione del giudizio di merito, e non in quello del procedimento anticipatorio. La norma è, infatti, soggetta al principio generale del tempus regit actum, e, dunque, deve applicarsi a tutti i giudizi di merito iniziati successivamente alla sua entrata in vigore (1° aprile 2017). Più precisamente, pur riconoscendo l'esistenza di uno stretto raccordo tra la consulenza tecnica preventiva con funzione conciliativa ex art. 696-bis c.p.c. e il giudizio risarcitorio di merito, la Corte evidenzia che «detto raccordo, però, per quanto stretto, non può condurre ad obliterare la netta distinzione, strutturale e funzionale, dei due procedimenti, al punto da considerarli quali momenti di un unico procedimento bi-fasico, dal momento che, al contrario, sia l’uno che l’altro possono aver luogo senza l’altro o prescindendo da esso» (viene, quindi, confermato l'orientamento già espresso da Cass. 5 maggio 2025, n. 11804, che aveva già avuto modo di escludere la natura bifasica del giudizio regolato dall'art. 8 della legge n. 24/2017). In tale prospettiva, la Suprema Corte giunge alla conclusione che il Tribunale, nel caso esaminato, una volta avviato il giudizio risarcitorio, avrebbe dovuto ritenere ad esso applicabile le nuove disposizioni ormai entrate in vigore. In particolare, il Tribunale avrebbe dovuto comunque porsi il problema dell’idoneità della consulenza espletata ante causam a costituire valido supporto istruttorio ai fini del giudizio di merito, posto che quello della consulenza, benchè ritualmente espletata secondo le norme anteriormente vigenti e ammissibilmente acquisita al giudizio di merito, non soddisfaceva il disposto dell’art. 15. Si giunge così alla seconda questione affrontata dalla sentenza, concernente le conseguenze derivanti dall'inosservanza dell'obbligo previsto dall'art. 15. Al riguardo, la Corte di cassazione afferma che la formulazione della norma è netta e non sembra lasciare margine a interpretazioni diverse: il giudice deve obbligatoriamente conformarsi a tale previsione, nominando un collegio i cui componenti devono essere scelti dagli albi ufficiali. Questa prescrizione, infatti, mira a garantire «l’obiettivo, tanto delicato e importante per gli interessi in gioco quanto spesso assai difficile da raggiungere, di ricostruzione delle cause degli eventi lesivi legati ai trattamenti sanitari». Tale esigenza di rigore era già stata sottolineata, in passato, dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 10 dicembre 2019, n. 32143 e Cass. 12 maggio 2021, n. 12593) e, successivamente, dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 102 del 20 maggio 2021. In tale occasione la Consulta aveva avuto modo di ribadire il fondamento razionale dell'art. 15: la collegialità dell'incarico peritale discende dalla necessità di svolgere indagini delicate e complesse, finalizzate a una valutazione esaustiva e conforme alle regole tecniche (leges artis). Le esposte considerazioni conducono i giudici alla conclusione che «la mancata osservanza del requisito di necessaria collegialità della consulenza tecnica disposta nei procedimenti civili aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria costituisca causa di nullità della sentenza che sia resa sulla base di essa, per violazione di norma processuale inderogabile, tale dovendosi considerare quella disposta dall'art. 15, comma 1, legge n. 24/2017». |