Danni da cose in custodia ed onere della prova liberatoria a carica del custode

25 Giugno 2025

Due committenti fecero effettuare da una società dei lavori di demolizione di un loro immobile; i lavori provocarono delle lesioni all'adiacente fabbricato il cui proprietario agì in giudizio nei confronti dei committenti, al fine di ottenere il risarcimento dei danni.

Massima

L'art. 2051 c.c. impone al custode, presunto responsabile, di fornire la prova liberatoria del  fortuito e ciò in ragione sia degli obblighi di vigilanza, controllo e diligenza, in base ai quali è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire e impedire la produzione dei danni a terzi, sia in ossequio al principio cd. della vicinanza della prova, in modo da dimostrare che il danno si è verificato in maniera né prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.

Il caso

Il Tribunale rigettava la domanda di risarcimento, sentenza che era annullata dalla Corte di appello che condannava i commenti al risarcimento dei danni.

Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità lo hanno rigettato in considerazione che venendo in rilievo la responsabilità da cose in custodia i ricorrenti non avevano fornito la prova del caso fortuito.

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di danni da cose in custodia quale onere probatorio grava sul custode?

La soluzione giuridica

Funzione dell'art. 2051 c.c. è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta.

Benché l'art. 2051 c.c. menzioni espressamente il caso fortuito, il vigente codice non ne fornisce alcuna definizione specifica; cionondimeno con tale espressione è designato l'evento che non poteva essere in alcun modo previsto o, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo prevenuto, così come puntualizzato dalla più recente giurisprudenza caso fortuito, dunque, per la nostra legge, è quell'evento che non poteva essere previsto (ad esempio un terremoto).

Ed al caso fortuito è equiparata la forza maggiore, ovvero l'evento che, pur prevedibile, non poteva essere evitato (ad esempio, un evento atmosferico).

Viene, dunque, in rilievo il caso fortuito, testualmente indicato dalla norma in esame come l'oggetto della prova liberatoria da parte del custode e che può definirsi come quel fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva e caratterizzato dall'imprevedibilità e dall'eccezionalità (fattore causale comprensivo anche del fatto del terzo o della colpa del danneggiato).

Inoltre, la migliore dottrina in materia di danni a cose ha, poi, ulteriormente delineato tre differenti tipologie di fortuito in relazione al modo e alla misura in cui l'evento esterno contribuisce alla causazione del danno.

Se il caso fortuito determina il danno in via immediata e diretta si configura il cosiddetto fortuito autonomo, che integra una serie causale totalmente distinta dalla res custodita (ad esempio, la persona colpita da un fulmine o da un meteorite).

Il fortuito incidente si verifica quando il danno è cagionato dalla cosa quale mera occasione: la cosa rappresenta la condicio sine qua non del danno, che rinviene la sua causa efficiente nell'evento esterno: è il caso della persona colpita da un albero abbattuto dal fulmine o sradicato dalla tempesta (sul fortuito incidente si veda Cass., n. 584/2001: allorché la cosa svolge solo il ruolo di occasione dell'evento ed è svilita a mero tramite del danno in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che ben può essere integrata dallo stesso comportamento del danneggiato, si verifica il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno).

Si ha, infine, il fortuito concorrente quando il danno è cagionato dalla cosa e dall'evento esterno in concorso tra loro con distinti, ma uguali e importanti contributi causali (si consideri l'ipotesi dell'albero abbattuto dal fulmine o dalla tempesta che, nel contempo, è marcio ovvero incapace di opporre adeguata resistenza agli eventi atmosferici.

La Suprema Corte ha affermato che il fortuito è tale quando l'evento è imprevedibile da parte del custode; il giudizio di imprevedibilità della condotta della vittima da parte del custode va compiuto « guardando al custode e valutando, con giudizio ex ante, se questi potesse ragionevolmente attendersi una condotta negligente da parte dell'utente delle cose affidate alla sua custodia; il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Cass., n. 25837/2017; Cass. n. 13222/2016).

L'imprevedibilità dell'evento da parte del custode costituisce, uno dei due presupposti — oltre alla negligenza della vittima — in presenza dei quali la condotta del danneggiato può qualificarsi come caso fortuito ai fini dell'esonero da responsabilità ex art. 2051 c.c.

Tutte queste affermazioni — in quanto implicano un giudizio sullo stato soggettivo del custode e, più precisamente, sulla prevedibilità o meno da parte sua dell'evento lesivo — si muovono nel solco della teorica della responsabilità ex art. 2051 c.c. come responsabilità per colpa presunta, e, dunque, in una direzione diversa da quella della responsabilità oggettiva verso la quale la giurisprudenza è oramai da tempo orientata.

Aggiungere alla valutazione dell'imprudenza del danneggiato quella sull'imprevedibilità ex latere custodis vuol dire disorientare, in qualche modo, colui che è chiamato ad applicare l'art. 2051 c.c., inducendolo ad una sorta di strabismo decisionale per cui si deve volgere lo sguardo, al contempo, in due direzioni diametralmente opposte.

Ed, invece, una ricostruzione piana della fattispecie — che muova dal punto fermo costituito dalla natura oggettiva della responsabilità — dovrebbe portare l'interprete, nell'operazione di valutazione dell'esistenza o meno del fortuito, a porre l'attenzione in una sola direzione.

L'attenzione, cioè, non può che concentrarsi sul comportamento del danneggiato, dovendosi verificare se quest'ultimo abbia assunto una rilevanza tale da recidere il nesso causale tra la cosa e il danno; a nulla rilevando, in una lettura della fattispecie in termini di responsabilità oggettiva, il comportamento del custode né tanto meno il suo stato soggettivo.

In questa sede, deve prestarsi adesione a quanto affermato dalla Cassazione, a mente della quale l'imprevedibilità — idonea ad esonerare il custode dalla responsabilità — deve essere oggettiva dal punto di vista probabilistico o della causalità adeguata, senza alcun rilievo all'assenza o meno della colpa del custode (Cass. n. 2482/2018).

È chiaro, dunque, come, alla stregua di tali adamantine indicazioni della Corte, per verificare se, nella fattispecie di responsabilità ex art. 2051 c.c., il comportamento del danneggiato abbia assunto il ruolo di caso fortuito, occorrerà interrogarsi se quella condotta — ad una valutazione ex ante — possa dirsi normale, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, oppure no.

Così ragionando, non potrebbe dirsi normale e, dunque, costituire un caso fortuito la condotta di chi inciampa per disattenzione in una buca di ampie dimensioni in pieno giorno o di chi, sovrappensiero, non si avvede del dislivello di diversi centimetri creatosi all'ingresso dell'ascensore abitualmente utilizzato.

In questi casi, nella serie causale tra la cosa e il danno si inserisce un fattore giustappunto a-normale, eccentrico, che diventa esso stesso la fonte del pregiudizio.

Analizzando l'iter giurisprudenziale, pertanto, si evince come l'interpretazione porti a far assumere connotati oggettivi alla responsabilità del custode, considerando il caso fortuito di cui all'art. 2051 c.c. un elemento impeditivo di tale responsabilità.

Difatti, l'orientamento maggioritario ritiene che il caso fortuito (inteso come elemento impeditivo) sia non il fatto imprevisto e imprevedibile con la diligenza, ma il fatto estraneo al rischio tipico della cosa — ossia il fatto naturale integrante forza maggiore o il fatto dello stesso danneggiato o il fatto del terzo — che incide sul nesso causale in modo da interromperlo, di talché il danno sia causalmente riconducibile non alla cosa ma all'elemento esterno.

Si è affermato così che il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità oggettiva può rinvenirsi anche nella condotta del terzo o dello stesso danneggiato, quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo (Cass., n. 11526/2017).

La nozione di fortuito appare, dunque, molto ampia e comprende ogni fatto idoneo ad interrompere il rapporto di causalità tra la cosa ed il danno, assolutamente imprevedibile e non controllabile da parte del custode.

In questa nozione sono ricompresi, come si è già evidenziato, il fatto del terzo, il fatto dello stesso danneggiato ed il fatto naturale, la c.d. forza maggiore.

In definitiva, è accolta una nozione oggettiva di caso fortuito analoga a quella accolta nell'ambito dell'interpretazione del concetto di causa non imputabile ai fini dell'esonero della responsabilità del debitore.

Pertanto, con specifico riferimento al concetto di caso fortuito, la Suprema Corte ha chiarito che esso ricorre in tutti i casi in cui si sia in presenza di un fattore esterno (riconducibile al profilo causale dell'evento) che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nelle ipotesi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (Cass., n. 24739/2007).

Con riguardo all'ipotesi di caso fortuito incidentale dipendente dalla condotta della vittima, la giurisprudenza ha posto l'accento sulla capacità del danneggiato di prevedere ed evitare, con l'ordinaria diligenza, il danno derivato dall'uso della cosa, ancorché intrinsecamente pericolosa, pur dovendosi comunque tenere conto della natura della cosa stessa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione (Cass., n. 4476/2011).

Dunque, secondo la Suprema Corte, la prevedibilità in senso giuridico esclude tutte quelle condotte che, quantunque naturalisticamente immaginabili, risultino riconducibili al rischio elettivo, all'uso improprio della cosa, ovvero, più in generale, al comportamento imprudente e inconsulto del danneggiato (Cass., n. 7448/2015).

Osservazioni

Facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., l'art. 2051 c.c., integra invero un'ipotesi di responsabilità caratterizzata da un criterio di inversione dell'onere della prova, imponendo al custode, presunto responsabile, di dare eventualmente la prova liberatoria del fortuito.

In ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce cui fanno riscontro corrispondenti obblighi di vigilanza, controllo e diligenza alla stregua non solo di specifiche disposizioni normative ma già in base alle clausole generali di diligenza e buona fede (Cass., n. 14065/2014) o correttezza (in base ai quali è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi, con lo sforzo adeguato alla natura e alla funzione della cosa e alle circostanze del caso concreto), nonché in ossequio al principio di c.d. vicinanza alla prova, in caso di danno derivato dalla cosa il custode è allora tenuto a dimostrare che esso si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso (Cass., n. 11802/2016).

A tale stregua, il danneggiato è dunque tenuto a provare l'evento dannoso e la sua derivazione dalla cosa. Il custode deve viceversa dimostrare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative, e già del principio generale del neminem laedere.

Siffatta inversione dell'onere probatorio incide indubbiamente sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato e aggravando quella del danneggiante, sul quale grava anche il rischio del fatto ignoto (Cass., n. 11802/2016).

Il danneggiato non è invece tenuto a provare anche la sussistenza dell'insidia o trabocchetto, nè la condotta omissiva o commissiva del custode (Cass., n. 4234/2009).

Atteso che il custode presunto responsabile può se del caso, in presenza di condotta che valga ad integrare la fattispecie ex art. 1227 comma 1 c.c., dedurre e provare il concorso di colpa del danneggiato, senz'altro configurabile anche nei casi di responsabilità presunta ex art. 2051 c.c., del custode (Cass., n. 6529/2011), ai diversi fini della prova liberatoria da fornirsi dal custode per sottrarsi a detta responsabilità è invero necessario distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della cosa in custodia e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione della stessa.

Solamente in quest'ultima ipotesi può invero configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l'evento dannoso si sia verificato prima che il custode abbia potuto rimuovere, nonostante l'attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi (Cass., n. 8935/2013).

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