Perdita dell'animale domestico e danno subito dai proprietari
25 Giugno 2025
Il quesito in questione trae origine dal decesso di una cagnolina affidata per qualche giorno dai proprietari a una pensione per animali. A seguito di un malore per il quale non era stata curata adeguatamente, la cagnolina muore. I proprietari apprendono tale notizia non dalla struttura affidataria ma dalla Polizia locale ed emerge che l’animale, morto da alcuni giorni, era stato male qualche giorno prima dal suo decesso. Emerge, inoltre, che il custode della pensione, pur sapendo del malessere della cagnolina, non aveva avvisato i proprietari, né richiesto cure veterinarie, trascurando di garantirle un’adeguata assistenza e tentando poi di celare l’accaduto ai proprietari. I proprietari della cagnolina promuovevano un’azione legale volta a ottenere la risoluzione del contratto di deposito per grave inadempimento e il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, sostenendo che la perdita dell’animale d’affezione costituisce inosservanza del diritto inviolabile ex art. 2 Cost., degno di tutela sia nei confronti della persona singola, sia nel contesto delle sue relazioni sociali, nella realizzazione della persona umana, oltreché del diritto di proprietà ai sensi dell’art. 42 della Costituzione. Nelle sue difese, la struttura convenuta in giudizio sosteneva che la perdita dell’animale di affezione non determinasse un danno risarcibile, facendo riferimento all’orientamento della giurisprudenza di legittimità affermato con diverse sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione, secondo le quali tale pregiudizio non sarebbe qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita della qualità della vita. All'opposto, il Tribunale di Prato, chiamato a pronunciarsi sulla questione, con sentenza n. 51 del 25.01.25, aderisce all’orientamento giurisprudenziale più moderno e recente, secondo cui il fatto illecito che cagiona la morte di un animale da compagnia costituisce un “fatto produttivo di danni morali nei confronti di chi ne aveva cura, in ragione del coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra l’uomo e l’animale domestico comporta, dell’efficacia di completamento e arricchimento della personalità dell’uomo e quindi dei sentimenti di privazione e sofferenza psichica indotti dal comportamento illecito” (Trib. Venezia, 17 dicembre 2020, n. 1936), affermando così il principio che lo stato di angoscia derivante dalla morte del proprio animale domestico costituisce un danno biologico da porre a carico del soggetto responsabile. Il Tribunale ha, difatti, ritenuto provato il nesso causale tra la condotta del depositario e il danno sulla scorta del fatto che la depositante, proprietaria della cagnolina, aveva provato l’avvenuta consegna e che la morte dell’animale fosse avvenuta durante il periodo di custodia nella pensione. Inoltre, l’attrice aveva anche provato che l’animale godeva di un buono stato di salute al momento della consegna alla pensione. Nel caso in questione, l’onere probatorio è stato assolto: dall’istruttoria era emerso che la cagnolina veniva considerata a tutti gli effetti un membro della famiglia. L’esistenza di questo legame affettivo e le circostanze del decesso fanno presumere che da tale evento siano derivati, a carico della famiglia proprietaria, una profonda sofferenza, equiparabile a quella della perdita di un essere umano. Parimenti, le circostanze in cui la stessa è deceduta e le iniziative assunte dagli attori dopo la scoperta della sua morte dimostrano l’attaccamento della famiglia all’animale e l’intenso dolore sofferto in conseguenza della sua perdita. |