Deformazione del viso da lesioni permanenti: illegittimità costituzionale del rigido trattamento sanzionatorio
23 Giugno 2025
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 83 depositata oggi, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'articolo 583-quinquies del codice penale, introdotto dalla legge n. 69/2019 (cd. “codice rosso”), volto a disciplinare il reato di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso. Il tema centrale della pronuncia è la necessità di modulare il trattamento sanzionatorio per garantire la proporzionalità della pena, la sua individualizzazione e la tutela della funzione rieducativa, principi sanciti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione. La Corte ha accolto le questioni sollevate dai GUP di Taranto, Bergamo e Catania, rilevando come la previsione di una pena detentiva minima molto elevata (reclusione da otto a quattordici anni), senza possibilità di attenuazione per i casi di lieve entità, sia in contrasto con i principi costituzionali, soprattutto considerando la varietà delle condotte punibili e la potenziale assenza di dolo intenzionale. Così, la Consulta ha dichiarato, il primo comma dell'articolo 583-quinquies costituzionalmente illegittimo nella parte in cui «non prevede che la pena da esso comminata -reclusione da otto a quattordici anni -sia diminuita, in misura non eccedente un terzo, quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»; Inoltre, in riferimento al secondo comma dello stesso articolo è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale nella parte in cui stabilisce che «la condanna o il patteggiamento per il reato in questione comporta l'interdizione automatica e perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno, anziché prevedere che tale pena accessoria sia applicabile facoltativamente dal giudice, in base agli ordinari criteri discrezionali e nel rispetto del limite legale di durata massima di dieci anni». La Corte infatti ritiene che l'irrogazione della pena accessoria debba essere rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, nel rispetto della durata massima di dieci anni prevista dalla legge. Tale intervento si fonda sulla constatazione che la latitudine della descrizione del reato può ricomprendere condotte di gravità molto diversa, per cui l'automatismo e la perpetuità della pena non risultano giustificati sul piano costituzionale. Fonte: (Diritto e Giustizia) |