Ammissibilità dell'azione revocatoria di un conferimento immobiliare in una società
24 Giugno 2025
Massima L'ammissibilità dell'azione revocatoria del negozio di un conferimento immobiliare in favore di una società è indiscutibile […] Neanche il principio di separazione del patrimonio societario rispetto a quello dei soci subisce alcun vulnus; e ciò perché l'accoglimento dell'azione revocatoria non opera, infatti, alcun ritorno del bene nella disponibilità del debitore, salva l'esposizione ad eventuali azioni esecutive e conservative del creditore, escludendo, infine, che la tutela del capitale sociale possa sanare situazioni patologiche come il conferimento in frode ai creditori. Il caso L'Alfa S.p.A., quale creditrice in virtù di polizza fideiussoria della Beta s.n.c., conveniva in giudizio quest'ultima e la Gamma s.r.l. al fine di veder dichiarato inefficace nei suoi confronti l'atto di conferimento di un bene immobile effettuato dalla prima nei confronti della seconda. A tal riguardo, rappresentava che: i) la figlia dei due coniugi soci della Beta era socia della Gamma insieme ad una socia di minoranza al 10%; ii) l'immobile oggetto di conferimento era l'unico cespite della debitrice suscettibile di valutazione economica; iii) in capo alla disponente ed alla terza acquirente gravavano i presupposti soggettivi di cui all'art. 2901 c.c. Per converso, le convenute sostenevano che il conferimento era avvenuto in adempimento di un debito scaduto vantato dalla socia di minoranza della Gamma nei confronti della Beta a titolo di retribuzione, t.f.r. e differenze retributive e che, per un verso, la stessa socia non poteva essere a conoscenza dei debiti della cedente e, per altro verso, che la relazione di parentela che interessava l'altra socia non implicava necessariamente il presupposto dell'azione revocatoria del c.d. consilium fraudis. A seguito dell'intervenuta dichiarazione di fallimento della Beta, interveniva in giudizio il curatore fallimentare chiedendo l'estensione della declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. nei confronti di tutti i creditori concorsuali. Preso atto dell'intervento del curatore, il Tribunale di Foggia dichiarava improcedibile la domanda di Alfa ai sensi dell'art. 66 l. fall. e, ritenendo sussistenti nel merito i presupposti per la concessione del provvedimento, accoglieva la domanda di revocatoria. Tale pronuncia veniva confermata dalla Corte d'Appello di Bari che rigettava il gravame proposto dalla Gamma la quale, a sua volta, proponeva ricorso per cassazione. La questione La principale questione giuridica in merito alla quale i giudici di legittimità sono stati chiamati ad esprimersi attiene l'ammissibilità o meno dell'azione revocatoria avente ad oggetto un atto di conferimento di un bene immobile nei confronti di una società. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte si è pronunciata favorevolmente rispetto all'ammissibilità dell'azione revocatoria, ritenendo di dare continuità alle precedenti pronunce di legittimità oramai radicate verso tale soluzione. I Giudici della Terza sezione civile hanno dapprima considerato infondato il primo motivo di ricorso con il quale la ricorrente deduceva che la Corte d'Appello ha omesso di considerare che il fine dell'aumento di capitale sociale è consentire il reperimento del capitale di rischio e che, quindi, il bene conferito rappresenterebbe il patrimonio sociale distinto da quello dei singoli soci conferenti. La stessa ricorrente sosteneva altresì che la sentenza sarebbe stata inutiliter data per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della socia di minoranza della Gamma. Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità hanno ribadito la oramai pacifica ammissibilità dell'azione revocatoria del negozio di conferimento immobiliare in favore di una società. In tal caso, invero, posta la sua compatibilità con il diritto dell'Unione europea, il principio di separazione del patrimonio sociale rispetto a quello dei singoli soci non può considerarsi leso dal momento che l'accoglimento dell'azione revocatoria non determina il ritorno del bene nella disponibilità del debitore, con la sola eccezione di eventuali azioni esecutive e conservative (Cass. civ. n. 23891/2013). La Suprema Corte ha ricordato come la revoca del conferimento comporti il riconoscimento di una posizione preferenziale in capo al creditore del singolo socio rispetto ai creditori sociali soltanto al ricorrere del requisito soggettivo della mala fede; è quest'ultimo, invero, che giustifica il venir meno della meritevolezza della tutela del capitale sociale e, dunque, una subordinazione dell'interesse dei creditori della società. Ritenendo di dare continuità alla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 1804/2000), i Giudici hanno ricordato che il presupposto della tutela revocatoria nei confronti del creditore è il pregiudizio delle ragioni di quest'ultimo ravvisabile non nel danno concreto ed effettivo quanto piuttosto nel pericolo di danno derivante dall'atto di disposizione da cui si è determinata una modifica della situazione patrimoniale del debitore che compromette o rende incerta l'esecuzione coattiva del debito. In quest'ottica, pertanto, il conferimento di un bene in una società può pregiudicare le ragioni creditorie del conferente poiché nel patrimonio di quest'ultimo sostituisce al bene oggetto di cessione un titolo di partecipazione a capitale di rischio ed è dunque impugnabile per mezzo dell'azione revocatoria al ricorrere del requisito soggettivo di cui all'art. 2901 c.c. Con riferimento, invece, all'asserita mancata integrazione del contraddittorio, è stato confermato che i conferimenti di beni in natura dei soci fondatori sono considerati negozi traslativi diretti in favore della società stessa che rappresenta, in qualità di parte acquirente, l'unico contraddittore della domanda volta ad ottenere la loro inopponibilità (Cass. civ. n. 2536/2016). Pertanto, nel giudizio introdotto con l'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ., tra il debitore ed il terzo acquirente sussiste un rapporto di litisconsorzio necessario (Cass. civ. n. 6390/2020) e qualora l'atto oggetto di revocatoria sia il conferimento di beni ad una società non sussistono ragioni per derogare a tale regola. Osservazioni Com'è noto, ai sensi dell'art. 2740 c.c., il debitore risponde dell'adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, non essendo ammesse limitazioni della sua responsabilità se non nei casi previsti ex lege. In ottemperanza a tale principio, la ratio dell'azione revocatoria ordinaria di cui all'art. 2901 c.c. è la salvaguardia della garanzia generica riconosciuta al creditore dal patrimonio responsabile. Tale funzione è assolta rendendo inefficaci nei confronti dello stesso creditore gli atti di disposizione del patrimonio del debitore che mettano in pericolo il suo soddisfacimento: la pronuncia di inefficacia dell'atto contro cui si agisce, infatti, produce i suoi effetti soltanto nei confronti dello stesso creditore proponente e non anche rispetto alle parti contraenti, non implicando anche il rientro nel patrimonio del debitore alienante del bene oggetto dell'atto che si intende revocare. Gli effetti prodotti dall'azione revocatoria sono, dunque, relativi e si producono in una duplice direzione: dal lato soggettivo poiché giovano soltanto al creditore che agisce e dal lato oggettivo perché determinano l'inefficacia dell'atto soltanto nei confronti del pregiudizio arrecato al creditore stesso. Affinché possa essere validamente esperita l'azione in commento sono richiesti due presupposti: il c.d. consilium fraudis, inteso quale consapevolezza del pregiudizio che l'atto è idoneo ad arrecare al creditore (ed eventualmente la dolosa preordinazione laddove l'atto sia compiuto dal debitore prima del maturare del credito) e il c.d. eventus damni, ossia il realizzarsi del pregiudizio nei confronti del creditore a causa dell'insufficienza del patrimonio del debitore per il soddisfacimento del credito. Ciò posto, nel caso in cui l'azione revocatoria ordinaria sia esercitata nell'ambito del fallimento, rectius la liquidazione giudiziale, la stessa non rappresenta più uno strumento di tutela individuale del singolo creditore ma persegue la tutela collettiva della massa dei creditori. Di conseguenza, la dichiarazione di inefficacia dell'atto si pone inevitabilmente a vantaggio dell'intera massa dei creditori e determina, al pari dell'ulteriore ipotesi dell'azione revocatoria c.d. fallimentare, il recupero del bene al patrimonio oggetto dell'esecuzione collettiva. In questo senso, se il presupposto del c.d. consilium fraudis non subisce modificazioni, a variare è quello del c.d. eventus damni poiché il termine di riferimento per verificare la lesione dell'interesse creditorio non è più il singolo creditore ma l'intera massa. Dunque, soltanto l'azione revocatoria fallimentare, come anche ricordato dai giudici di legittimità con la pronuncia in commento, ha un fisiologico effetto recuperatorio perché dal suo accoglimento deriva la condanna dell'acquirente alla restituzione del bene alla procedura concorsuale, sanzionando l'obbligo di porre il bene nella piena disponibilità della massa. Ciò perché, come premesso, se dal vittorioso esperimento dell'azione revocatoria ordinaria è riconosciuta al creditore la possibilità di aggredire il bene revocato soltanto in un momento successivo con una esecuzione individuale, nell'ambito della procedura concorsuale si agisce, appunto, in una procedura esecutiva già in atto caratterizzata, tuttavia, dall'acquisizione di tutti i beni volti al miglior soddisfacimento dell'intero ceto creditorio. Riferimenti F. Corsi, La revocatoria ordinaria nel fallimento, Napoli, 1965 A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 204 Terranova, Par condicio e il danno delle revocatorie fallimentari, in Dir. Fall., 2010, I, 10. |