Questioni in tema di clausola simul stabunt, simul cadent

23 Giugno 2025

Il contributo analizza la recentissima pronuncia con cui la Cassazione ha ritenuto valida e applicabile la clausola simul stabunt simul cadent anche alle società per azioni basate sul sistema dualistico, e quindi con riferimento al consiglio di sorveglianza.

Massima

In tema di sostituzione degli amministratori, l'art. 2386, comma 4, c.c. riconosce la validità della clausola simul stabunt simul cadent, in quanto diretta a garantire il mantenimento inalterato di una determinata composizione dell'organo collegiale per tutto l'arco del mandato, nel caso del venir meno di alcuni dei suoi componenti, con l'unico limite derivante dalla necessità di rispettare i doveri di buona fede, di lealtà e di correttezza che regolano i rapporti all'interno della società, non potendosi ritenere lecito un utilizzo della stessa preordinato all'estromissione di amministratori non graditi; ne consegue che, non essendo le riferite finalità estranee al funzionamento e all'operatività delle società per azioni basate sul sistema dualistico, l'adozione di una siffatta clausola è legittimo anche in tali società, essendo coerente con la filosofia generale di tale modello organizzativo e non ponendosi in contrasto con alcuna disposizione imperativa, a nulla rilevando la assenza di un puntuale richiamo all'art. 2386, comma 3, c.c. nell'ambito della specifica disciplina a queste società dedicata.

Il caso

Il caso sottoposto alla Corte può essere sintetizzato nei termini che seguono.

Il componente del consiglio di sorveglianza di una società di capitali che adottava il sistema dualistico ha proposto ricorso per cassazione avverso alla sentenza della Corte di appello di Brescia che, confermando la decisione del locale Tribunale, aveva rigettato la domanda del predetto volta ad ottenere il risarcimento dei danni per la cessazione dalla carica a seguito dell'applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent. In particolare, i giudici del merito avevano ritenuto che: la clausola simul stabunt, simul cadent era legittima; la sua operatività prescindeva dai motivi per cui i consiglieri erano venuti a mancare, per cui non sussisteva il vantato diritto al risarcimento dei danni ex art. 2409-duodecies, comma 5, c.c. anche in ragione della compatibilità della clausola con il sistema dualistico di amministrazione; la clausola non era stata attivata in modo abusivo.

Proposto ricorso in cassazione, l'ex componente del consiglio di sorveglianza ha evidenziato che la clausola statutaria simul stabunt simul cadent non sarebbe valida con riferimento ai componenti del consiglio di sorveglianza nelle società per azioni strutturate secondo il sistema dualistico, avuto riguardo al mancato richiamo nella relativa disciplina legale all'art. 2386 c.c. e alla diversa natura del consiglio di sorveglianza rispetto al consiglio di amministrazione. Sotto altro profilo, ha lamentato l'abusiva attivazione della medesima clausola.

Le questioni giuridiche

Con la clausola simul stabunt, simul cadent viene previsto che, qualora per qualunque ragione cessino dalla carica uno o più membri di un organo collegiale, l'intero organo deve considerarsi cessato. In altre parole, attraverso la clausola in esame, alla cessazione (per qualsiasi causa) di uno o più componenti del consiglio di amministrazione viene attribuito l'ulteriore effetto di determinare la decadenza immediata dell'organo gestorio.

Già prima della riforma del diritto societario, l'orientamento del tutto maggioritario in giurisprudenza riteneva la validità della clausola dello statuto di una società per azioni con cui si disponesse la decadenza dell'intero consiglio di amministrazione al venir meno della maggioranza dei suoi membri (Cass., 7 luglio 2008, n. 18597; Cass., 16 marzo 1990, n. 2197; Trib. Milano, 23 marzo 2002, in Giur. it., 2002, 1660; Trib. Milano, 6 aprile 1995, in Giur. comm., 1996, II, 233). Peraltro, ogni questione in merito appare superata per effetto della riforma intervenuta a seguito del d.lg. 17 gennaio 2003, n. 5 che ha introdotto il quarto comma dell'art. 2386 c.c., in base al quale tale clausola può essere inserita nello statuto della società, con la conseguenza che, ove cessi l'intero consiglio, l'assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata d'urgenza dagli amministratori rimasti in carica oppure, ove previsto nello statuto, dal collegio sindacale. In questo modo si è sancita per via normativa la liceità delle clausole statutarie simul stabunt simul cadent.

Così, la presenza nello statuto di una tale clausola deroga alle previsioni di legge di cui all'art. 2386, commi 1 e 2, c.c., per i quali: (a) la cessazione di singoli amministratori, non rappresentanti la maggioranza del consiglio, consente ai superstiti di cooptare nuovi membri fino alla prossima assemblea (primo comma); (b) la cessazione della maggioranza degli amministratori impone ai rimanenti di convocare senza indugio l'assemblea per la sostituzione dei mancanti, fermo restando che gli amministratori superstiti continuano a gestire la società (secondo comma). Con una clausola simul stabunt, infatti, non si potrà avere né cooptazione né integrazione, occorrendo la sostituzione di tutti i componenti (così, N. De Luca, Uso distorto della clausola simul stabunt simul cadent, nota a Trib. Milano, 14 gennaio 2020, in Soc., 2020, 3, 293)

La clausola in esame è finalizzata ad accentuare il carattere collegiale dell'organo amministrativo ed a salvaguardarne la compattezza: la ratio va, infatti, rintracciata nella volontà di assicurare all'assemblea un maggior controllo sulla composizione del consiglio di amministrazione, sul presupposto che la nomina dell'organo gestorio possa voler esprimere la fiducia dei soci non tanto nella somma quanto nella sintesi della capacità dei singoli amministratori designati a comporre il collegio (così, Cass., 16 marzo 1990, n. 2197 in motivazione).

Sotto altro profilo, la giurisprudenza di merito, successiva alla riforma, ha avuto modo di evidenziare come la clausola in argomento posta nello statuto di società capitalistica abbia il precipuo scopo di evitare la gestione della società da parte di organo amministrativo minoritario, quando, per effetto della cessazione di alcuni consiglieri, si sono rotti gli equilibri già definiti ed individuati all'atto della nomina. La nuova regola codicistica (art. 2386, comma 4, c.c.), nel sancire la legittimità della clausola in esame, regola gli effetti del vuoto di potere gestionale, conseguenti alla causa di decadenza operante per tutto il consiglio di amministrazione, predisponendo un meccanismo di scadenza anticipata del consiglio quale condizione risolutiva del rapporto eguale al caso di naturale scadenza del mandato, cui fa seguito la prorogatio dei poteri di tutti gli amministratori sino alla convocazione dell'assemblea, che nominerà il nuovo consiglio (così, Trib. Milano, 10 giugno 2008, in Giur. it., 2009, 377).

La clausola assume la funzione, dunque, non solo di conservare gli equilibri interni di composizione del consiglio originariamente voluti e cristallizzati nella delibera assembleare di nomina evitando in particolare l'alterazione che potrebbe derivare a danno della compagine di minoranza dall'applicazione del meccanismo della cooptazione, ma anche di fungere da stimolo alla coesione dell'organo gestorio poiché ciascun amministratore è consapevole che le dimissioni di uno o di alcuni degli altri determina la decadenza dell'intero consiglio e nel contempo può contribuire a quella decadenza quando in disaccordo con gli altri (così, Trib. Milano, 12 marzo 2024, in Giur. it., 2024, 12, 2628 con nota di D. Ionadi, Clausola simul stabunt simul cadent: limiti applicativi e abuso del diritto, ma già, Trib. Milano 9 dicembre 2020, n. 8080, Trib. Milano, 14 gennaio 2020 n. 247).

L'applicazione del meccanismo previsto nella clausola statutaria determina una causa naturale di cessazione della carica di amministratore in base alla quale non compete alcun diritto al risarcimento a favore degli stessi amministratori decaduti i quali, accettando l'iniziale conferimento dell'incarico, hanno con ciò manifestato anche la volontà di aderire alle clausole statutarie che regolano le condizioni di nomina e di permanenza degli organi societari, adesione, questa, che implica l'accettazione dell'eventualità di una cessazione anticipata dall'ufficio di amministratore nel caso di applicazione della regola simul stabunt simul cadent (Trib. Milano, 12 marzo 2024, in Giur. it., 2024, 12, 2628 con nota di D. Ionadi, Clausola simul stabunt simul cadent: limiti applicativi e abuso del diritto; Trib. Venezia, 11 luglio 2024, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 13 marzo 2015, n. 3388).

L'operatività della causa di decadenza è, dunque, automatica e, nel suo normale operare, non implica una valutazione dei motivi interni delle singole dimissioni presentate che hanno determinato il venir meno della composizione di maggioranza all'interno dell'organo amministrativo (così, già Cass., 16 marzo 1990, n. 2197, cit.; Trib. Napoli, 8 febbraio 2023, n. 1402 in DeJure, secondo il quale la decisione di alcuni amministratori di rassegnare le dimissioni non è lesiva delle altrui posizioni, considerato che l'effetto prodotto dalle dimissioni di alcuni amministratori, essendo quello di sostituzione dell'intero organo amministrativo per effetto della clausola simul stabunt simul cadent, comporta che la scelta dei componenti dell'organo gestorio, nell'esclusivo interesse della società, venga demandata all'assemblea soci ai sensi di legge e di statuto).

Osservazioni

L'utilizzo abusivo della clausola.

Se non possono sussistere dubbi in ordine alla validità, si potrebbe dire “intrinseca” o “astratta”, della clausola simul stabunt simul cadent, è certamente possibile che l'attivazione della medesima e, dunque, il suo concreto funzionamento, possa prestarsi ad abusi, spesso a danno della minoranza azionaria.

E, infatti, quando, in presenza della clausola statutaria simul stabunt simul cadent le dimissioni di taluni membri del consiglio di amministrazione siano preordinate esclusivamente a consentire all'assemblea dei soci di rinnovare l'organo amministrativo con l'esclusione del solo componente sgradito (alla maggioranza) per sottrare la società all'obbligo di indennizzo connesso all'adozione diretta di una deliberazione assembleare di revoca senza giusta causa può configurarsi l'abuso nell'esercizio delle facoltà spettanti ai componenti degli organi sociali coinvolti. E va da sé che tale abuso costituisce la fonte dell'obbligo della società di risarcire il danno subito dal componente non dimissionario illegittimamente privato della prestazione indennitaria (N. De Luca, Uso distorto della clausola simul stabunt simul cadent, cit., 294).

Ciò posto, la giurisprudenza ha osservato - sul presupposto che ogni condotta deve essere esaminata alla luce del principio di buona fede e dell'ulteriore considerazione che la disposizione di cui all'art. 2383 c.c. tende a garantire al singolo amministratore una certa stabilità dell'incarico ed una giusta retribuzione di un mandato che si assume oneroso della quale può essere legittimamente privato solo nel caso in cui la revoca sia supportata dalla giusta causa – che la concreta applicabilità dell'istituto che, in via parallela e alternativa, sancisce la possibilità di conseguire la decadenza automatica dell'incarico amministrativo, nel suo normale operare, incontra l'insuperabile limite nella clausola generale di buona fede, la quale permette di armonizzare il corretto ambito di operatività della clausola statutaria invocata dalla società, in sé lecita e legittima, arginando forme di utilizzo improprio e strumentale, non teso a realizzare un più incisivo duraturo controllo sulla composizione del consiglio di amministrazione nell'ottica della realizzazione dei fini sociali che hanno portato alla scelta di un particolare organo gestorio, ma ad ottenere un anticipato discarico di funzioni privo di conseguenze onerose e di congrue motivazioni (Trib. Milano, 9 dicembre 2020, n. 8088,; Trib. Milano, 24 maggio 2011 in Giur. mer., 2012, 634; Trib. Roma, 22 gennaio 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it).

Sarebbe, in definitiva, del tutto estraneo al sistema, così come ridisegnato dal legislatore, che il ricorso alla clausola simul stabunt simul cadent si possa trasformare in un pretesto per ottenere un effetto diverso dalla finalità tipica della clausola, costituito dall'immediata revoca di uno o alcuni degli amministratori in carica senza obbligo di giustificazione della revoca e senza il necessario passaggio assembleare per conseguire la revoca anticipata, ovvero anche dal risparmio del risarcimento del danno così come previsto nell'articolo 2383 c.c. in caso di mancanza di giusta causa. In siffatte ipotesi la clausola simul stabunt simul cadent opererebbe, secondo l'orientamento giurisprudenziale in argomento, come un negozio indiretto, teso all'utilizzo di un determinato modello negoziale per realizzare uno scopo che corrisponde non già alla causa tipica dello stesso, bensì a quella di un altro tipo negoziale, consentendo la realizzazione di un effetto “simulato” immediato che non solo non sarebbe realizzabile mediante alcun “tipo” giuridico, ma che comunque corrisponderebbe a un interesse giuridicamente non meritevole di tutela. L'utilizzo della clausola in un contesto che tende a realizzare la “revoca anticipata” di un dato amministratore al fine di eliminare le naturali conseguenze onerose o le garanzie date dal confronto assembleare che la legge avrebbe riconosciuto a quest'ultimo può così sostanziarsi in un aggiramento degli obblighi di motivazione e risarcitori di cui il soggetto revocante (la società rappresentata dall'organo assembleare deputato alla nomina/revoca dell'organo amministrativo) si deve in ogni caso far carico al fine del buon governo societario (Trib. Milano, 24 maggio 2010, in Red. Giuffrè, 2011, Trib. Milano, 28 luglio 2010, in Soc., 2011, 149). Sebbene il riferimento al negozio indiretto non appare del tutto corretto, alla luce dei più recenti approdi della dottrina civilistica, è certo che l'utilizzo distorto della clausola simul stabunt, simul cadent comporta una ipotesi di abuso del diritto che l'ordinamento censura, in quanto contrario alla clausola generale di buona fede.

Quanto agli oneri probatori, spetta all'amministratore che deduca l'uso strumentale della clausola statutaria provare l'uso distorto del meccanismo della decadenza, per aggirare il diritto degli amministratori di essere revocati solo per giusta causa (Cass, 7 luglio 2008, n. 18597; Trib. Venezia, 11 luglio 2024, cit.): in questa prospettiva, risolvendosi il meccanismo derivante da un illegittimo utilizzo della clausola statutaria in un doppio comportamento riconducibile, dapprima, agli amministratori dimissionari e, successivamente, all'assemblea dei soci, l'attore deve provare la sussistenza di un accordo, fraudolentemente orientato, di tali soggetti ai suoi danni. In questo senso, si è espressa anche la giurisprudenza di merito la quale ha evidenziato come incombe sull'attore, che lamenta la sussistenza di una revoca illegittima a suo pregiudizio, la prova del collegamento oggettivo e soggettivo tra le dimissioni dei consiglieri che hanno perfezionato la fattispecie statutaria della decadenza dell'intero consiglio e la successiva immediata nomina di un nuovo consiglio composto da tutti i precedenti componenti meno l'attore, nonché la prova della sua esclusiva finalizzazione all'estromissione dell'attore dal collegio degli amministratori e quindi all'ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa (Trib. Milano, 28 dicembre 2012, in giurisprudenzadelleimprese.it).

Più precisamente, come affermato in giurisprudenza (Trib. Milano, 12 marzo 2024, cit.; Trib. Venezia, 11 luglio 2024, cit., il quale ammette la prova per presunzioni), il complesso onere probatorio gravante sull'amministratore che deduce l'uso distorto del meccanismo decadenziale concerne, quindi, un vero e proprio “procedimento” elusivo costituito dalla concatenazione concertata di atti negoziali e comportamenti riferibili a componenti di organi sociali diversi volti a convergere sull'unico scopo della realizzazione di un effetto equivalente alla revoca ingiustificata senza indennizzo dell'amministratore. La configurabilità della fattispecie procedimentale dell'abuso in questione presuppone, in particolare: a) l'esercizio strumentale della facoltà dimissioni da parte di taluni componenti del consiglio di amministrazione con il solo scopo di provocare la decadenza immediata dell'organo in vista della programmata esclusione da parte dell'assemblea convocata per il rinnovo dell'organo del solo componente sgradito; b) la rinnovazione da parte dell'assemblea dei soci dell'incarico a tutti gli altri membri del consiglio con esclusione del solo componente non dimissionario; c) il collegamento oggettivo e soggettivo tra le dimissioni dei consiglieri che hanno perfezionato la fattispecie statutaria della decadenza dell'intero consiglio di amministrazione e la successiva immediata nomina da parte dell'assemblea del nuovo consiglio di amministrazione composto da tutti i membri precedenti escluso quello non più gradito, connotato dall'esclusivo intento di ottenere la sua estromissione senza indennizzo dall'organo gestorio.

La compatibilità della clausola simul stabunt simul cadent con il sistema dualistico.

Come emerge dalla rubrica dell'art. 2409-octies c.c., con l'espressione “sistema dualistico” si intende il modello di governance societario caratterizzato dalla presenza di due organi, deputati l'uno, il consiglio di gestione, all'amministrazione della società e l'altro, il consiglio di sorveglianza, al controllo dell'attività del primo ed al compimento di specifiche competenze che, nel sistema tradizionale, sono affidate all'assemblea (C. Garilli, Il sistema dualistico, in V. Donativi (a cura di), Trattato delle società, Tomo II, Società per azioni, Milano, 2022, 2370).

L'organizzazione interna di una società per azioni che ha adottato il sistema dualistico è composta dai seguenti organi: l'assemblea dei soci, il consiglio di sorveglianza, il consiglio di gestione ed il revisore dei conti, dovendo essere affidato il controllo contabile, in ogni caso, ad un soggetto esterno.

In questa prospettiva, il consiglio di sorveglianza diviene un organo che si pone in posizione “intermedia” fra l'assemblea dei soci, proprietari dell'impresa, ed i gestori di questa ed al quale sono devoluti taluni compiti che, ordinariamente, spettano in parte al collegio sindacale e in parte all'assemblea (N. Facchin, Art. 2409-octies, in G. Grippo (a cura di), Commentario delle società, I, Torino, 2009, 657; C. Garilli, Il sistema dualistico, in V. Donativi (a cura di), Trattato delle società, Tomo II, Società per azioni, Milano, 2022, 2370). Infatti, nel sistema in argomento, il potere di approvare il bilancio e quello di nominare e revocare gli amministratori e di determinarne i compensi (art. 2409-terdecies, comma 1, lett. b) c.c.) spettano non già all'assemblea, ma, appunto, al consiglio di sorveglianza (ai sensi dell'art. 2364-bis c.c., il bilancio è approvato dal consiglio di sorveglianza e l'assemblea decide solo sulla distribuzione degli utili) (sul punto, F. Rinaldi, Art. 2409-octies, in L. Nazzicone, Codice delle società, Milano, 2024, 692).

La presenza del consiglio di sorveglianza riduce, dunque, le competenze dell'assemblea ordinaria, la quale nomina e la revoca i componenti del consiglio di sorveglianza, ne determina il compenso e delibera in ordine all'esercizio della responsabilità nei loro confronti. Lo statuto, inoltre, può ulteriormente comprimere il ruolo dell'assemblea attribuendo al consiglio di gestione o al consiglio di sorveglianza alcune materie di competenza dell'assemblea straordinaria che, nel sistema tradizionale, possono essere assegnate all'organo amministrativo (art. 2365, comma 2, c.c.). In questo modo, il sistema in esame, come si evince anche dalla Relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. n. 6 del 2003, costituisce il modello che maggiormente realizza la dissociazione tra proprietà e potere, dissociazione costituisce la ratio giustificatrice del modello stesso. Infatti, il sistema dualistico è nato per rispondere alle esigenze di quelle realtà societarie caratterizzate dalla presenza di soci investitori, disinteressati alla gestione sociale: proprio per questa ragione, esso è stato adottato principalmente dalle imprese societarie istituzionalmente rivolte al pubblico o, comunque, di dimensioni tali da coinvolgere una potenzialità di soggetti ed interessi eterogenei, quali le società quotate ed in particolare le banche, le società operanti nel settore finanziario e le società di assicurazioni (F. Rinaldi, Art. 2409-octies, cit. 693).

Ciò posto, ai sensi del quinto comma dell'art. 2409-duodecies c.c., i componenti del consiglio di sorveglianza sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dall'assemblea in qualunque tempo con deliberazione adottata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell'art. 2393 c.c., anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa.

Conseguentemente, a differenza di quanto previso per i sindaci, la revoca dei componenti del consiglio di sorveglianza non è subordinata alla esistenza di una giusta causa, né tantomeno al vaglio del tribunale, essendo sufficiente la maggioranza rafforzata di un quinto del capitale sociale, salvo, come visto, il risarcimento del danno in assenza di giusta causa (C. Garilli, Il sistema dualistico, cit. 2451; V. Cariello, Il sistema dualistico, Torino, 2012, 466). Si tratta, dunque, di una revoca ad nutum (F. Rinaldi, Art. 2409-duodecies, in L. Nazzicone, Codice delle società, Milano, 2024, 713).

D'altra parte, la differente disciplina dell'istituto della revoca del componente dell'organo di controllo rispetto al sistema tradizionale si spiega sulla base di due profili caratterizzanti il sistema dualistico. Nel modello di amministrazione e controllo in questione, infatti, da un lato, la mancanza di legame diretto tra amministratori e assemblea, che non è competente a nominare i primi, esclude l'esigenza di garantire l'efficacia della funzione di controllo mediante la stabilità dell'organo di vigilanza (N. Facchin, Art. 2409-octies, cit., 666); dall'altro, la facoltà di attribuire al consiglio di sorveglianza funzioni di c.d. alta amministrazione, richiede che i soci - seppur indirettamente - mantengano sempre la possibilità di rimuovere i consiglieri nei confronti dei quali non nutrano più fiducia (F. Rinaldi, Art. 2409-duodecies, ivi, A. Brigandì, Art. 2409-duodecies, in D.U. Santosuosso (a cura), Delle società. Dell'azienda. Della concorrenza, in Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, II, Torino, 2015, 68).

Ma se il componente del consiglio di sorveglianza non gode delle tutele che l'ordinamento societario appresta in favore del sindaco di una società per azioni, allora, appare corretto ritenere che la (scarna) disciplina che si rinviene nell'art. 2409-duodecies c.c. possa essere effettivamente integrata con le disposizioni dettate in materia di sostituzione degli amministratori.

Conclusioni

E tale è l'approdo cui giunge la sentenza in commento.

Sul punto, va premesso che il ricorrente sosteneva che, in ragione da un lato del mancato richiamo all'art. 2386 c.c. da parte della disciplina in ordine al sistema dualistico e dall'altro della diversa natura del consiglio di sorveglianza rispetto al consiglio di amministrazione, la clausola medesima sarebbe strutturalmente incompatibile con il modello dualistico di amministrazione e controllo.

Ebbene, la Corte ha rilevato che le finalità che vengono perseguite attraverso la clausola simul stabunt simul cadent non sono affatto estranee al funzionamento e all'operatività delle società per azioni basate sul sistema dualistico. In particolare, la clausola simul stabunt simul cadent è funzionale a garantire che una determinata composizione di un organo collegiale (dovuta, ad esempio, all'adozione di un sistema di nomina che rifletta la presenza di diverse componenti nella base associativa) venga mantenuta inalterata per tutto l'arco del mandato nel caso del venir meno di alcuni dei suoi componenti. Attraverso l'adozione di una simile clausola, dunque, si viene a verificare l'effetto di caratterizzare intrinsecamente il rapporto tra il componente l'organo collegiale e l'ente collettivo, funzionando da stimolo alla coesione dell'organo medesimo, poiché ciascun componente è consapevole che le dimissioni di uno/alcuni degli altri determinano la decadenza dell'intero organo e, nel contempo, può contribuire a quella decadenza, quando in disaccordo con gli altri.

Conseguentemente, l'adozione di una siffatta clausola in tali società va ritenuta legittima anche nell'ambito del sistema dualistico, essendo coerente con la filosofia generale di tale modello organizzativo e non ponendosi in contrasto con alcuna disposizione imperativa, a nulla rilevando la assenza di un puntuale richiamo all'art. 2386, comma 3, c.c. nell'ambito della specifica disciplina a queste società dedicata.

Guida all'approfondimento

Tra i numerosi scritti in tema di clausola simul stabunt, simul cadent, si segnalano:

P.M. Sanfilippo, D. Arcidiano, Il rapporto di amministrazione: costituzione e cause di cessazione, in V. Donativi (a cura di), Trattato delle società, Tomo II, Società per azioni, Milano, 2022, 1777

L. Della Tommasina, Art. 2386 c.c., in D.U. Santosuosso (a cura di), Commentario del codice civile, Delle società, dell'azienda, della concorrenza, Milano, 2015, 219

Portale - Bordiga, Clausola simul stabunt simul cadent e cessazione dalla carica di amministratore per rinuncia all'ufficio, in Vita not., 2009, 54

A. Valzer, La gestione interinale dell'impresa nella società per azioni, in M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi (a cura di), Società, banche e crisi d'impresa, vol. II, Milano, 2015, 1149

D. Ionadi, Clausola simul stabunt simul cadent: limiti applicativi e abuso del diritto (nota a Trib. Milano, 12 marzo 2024), in Giur. it., 2024, 12, 2628

N. De Luca, Uso distorto della clausola simul stabunt simul cadent, nota a Trib. Milano, 14 gennaio 2020, in Soc., 2020, 3, 293

G. Bova Crispino, L'innesco della clausola simul stabunt simul cadent e la sua operatività in regime di c.d. prorogatio del cda, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1582

N. Facchin, Art. 2409-octies, in G. Grippo (a cura di), Commentario delle società, I, Torino, 2009, 655

C. Garilli, Il sistema dualistico, in V. Donativi (a cura di), Trattato delle società, Tomo II, Società per azioni, Milano, 2022, 2370

F. Rinaldi, Art. 2409-octies, in L. Nazzicone, Codice delle società, Milano, 2024

F. Rinaldi, Art. 2409-duodecies, ivi, A. Brigandì, Art. 2409-duodecies, in D.U. Santosuosso (a cura), Delle società. Dell'azienda. Della concorrenza, in Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, II, Torino, 2015, 68).

V. Cariello, Il sistema dualistico, Torino, 2012

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