Messaggi osceni e petulanti a mezzo Instagram e Whatsapp: configurabile il reato di molestia telefonica

18 Giugno 2025

La Corte di cassazione risponde positivamente all'interrogativo sulla sussistenza del reato di molestia o disturbo alle persone - previsto dall'art. 660 c.p. - nell'ipotesi di condotta perpetrata mediante l'utilizzo di piattaforme quali Instagram o Whatsapp; trova dunque conferma quell'orientamento già presente nella giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. I, n. 40033/2023, Rv.285371), secondo il quale la locuzione “col mezzo del telefono” contenuta nella disposizione incriminatrice deve essere interpretata quale riferimento all'utilizzo delle linee telefoniche e non al telefono inteso come mero dispositivo elettronico.

Il caso
Un soggetto, originariamente tratto a giudizio sull'accusa di più fatti, in continuazione tra loro, di adescamento di minorenni, ex artt. 81,609-undecies c.p., veniva condannato, sia in primo grado che in appello, per il reato di cui all'art. 660 c.p., così riqualificata la primigenia contestazione. Nello specifico, con l'accusa originaria veniva contestato all'imputato di aver inviato a persone minorenni per mezzo delle piattaforme Instagram e Whatsapp, cd. “richieste di amicizia”, videochiamate e foto di parti intime, oltre che messaggi contenenti apprezzamenti. Avverso la sentenza d'appello l'imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo in primo luogo la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Sosteneva infatti la difesa che la riqualificazione avvenuta nel corso del giudizio di primo grado aveva determinato una violazione del diritto di difesa, integrando una vera e propria modifica del fatto contestato, tenuto conto di una condanna intervenuta per la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. – reato che mira a tutelare la pubblica tranquillità – a fronte di una iniziale imputazione per il diverso reato (sul piano dell'interesse tutelato) di adescamento di minori. Tra gli altri motivi, la difesa lamentava in particolare il difetto motivazionale in ordine alla sussistenza del reato di molestie, sostenendo che i messaggi non erano stati inviati attraverso telefoni fissi o mobili, così come richiesto dalla norma incriminatrice, bensì tramite piattaforme quali Instagram e Whatsapp; venendo meno, quindi, il carattere di invasività del mezzo di comunicazione (data la possibilità per il destinatario di evitarne la ricezione) con conseguente impossibilità di configurare il reato contemplato dall'art. 660 c.p.

La risposta della Cassazione
Giudicando il ricorso infondato, la Corte respinge in primo luogo la questione processuale relativa alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. 

Premettendo che la diversità del fatto tale da imporre la modifica del capo di imputazione e da precludere al giudice di pronunciarsi (ordinandogli di restituire gli atti al Pubblico Ministero), è solo e soltanto quella che determina una effettiva lesione del diritto al contraddittorio e del conseguente diritto di difesa, la Corte ricorda ancora che per "fatto" deve intendersi quello storico costituito dalla condotta, dall'evento e dal nesso causale, dalla riferibilità soggettiva della prima e dalla sua realizzazione nelle circostanze di tempo e di luogo date (Cass. pen., sez. un., n. 34655/2005, Rv. 23l799); alla luce di tale parametro interpretativo, la Corte esclude nella fattispecie ogni trasformazione radicale del fatto, con riferimento ai suoi elementi essenziali e alla fattispecie concreta, negando ogni oggettiva incertezza sull'oggetto della contestazione ed ogni conseguente lesione del diritto di difesa.
 Nello specifico, la Corte evidenzia infatti come nella imputazione fosse stata contestata una condotta reiterata nel tempo caratterizzata da ripetuti contatti e invio di immagini (foto e video) di natura sessuale e pornografica, attraverso mezzi di comunicazione anche telematica (Instagram e WhatsApp), nella piena consapevolezza da parte dell'imputato di porre in essere, se non altro per la natura oscena del contenuto dei messaggi, azioni perturbatrici della tranquillità personale delle persone minorenni destinatarie degli stessi; di modo che la mancanza della configurabilità di artifici, di lusinghe e delle minacce volte alla commissione dei reati di cui agli artt. 600,600-bis, 600-tere 600-quater, c.p. – elementi tipici dalla fattispecie incriminatrice della condotta di adescamento dei minori – pur determinato l'insussistenza della più grave fattispecie delittuosa, lascia del tutto immutata la materialità della condotta contestata, correttamente dunque inquadrata nell'ambito della disposizione di cui all'art. 660 c.p.

 Sgombrato il campo dall'ostacolo processuale, la Corte si misura poi con il secondo e importante motivo di ricorso, che investe il tema del perimetro della condotta di molestie telefoniche, offrendo una risposta di particolare interesse ai fini della presente indagine.
Pur consapevole infatti della esistenza di un diverso orientamento (Cass. pen., sez. I, n. 40033/2023, Rv. 285371), che nega l'integrazione della contravvenzione di molestia o disturbo alle persone nel caso di invio di messaggi mediante le applicazioni "Instagram" e "Facebook" in ragione della possibilità del destinatario di disattivare le notifiche mediante i sistemi di "alert" o "preview", la pronuncia ribadisce al contrario la possibilità che la fattispecie criminosa descritta dall'art. 660 c.p. sia configurabile anche ove
posta in essere attraverso le suddette piattaforme, dando segno pertanto di aderire a quel filone giurisprudenziale che esalta la capacità del mezzo utilizzato a raggiungere il destinatario e l'idoneità dello stesso ad integrare una molestia tale da disturbare la tranquillità personale del ricevente.

La questione giuridica
La soluzione adottata dalla Cassazione in ordine al quesito squisitamente penalistico riprende - come detto – un orientamento giurisprudenziale senz'altro autorevole, ma non per questo da ritenersi definitivamente consolidato, alla luce del dibattito giurisprudenziale sviluppatosi sul punto.
Il tema centrale - la configurabilità delle molestie ex art. 660 c.p. attraverso piattaforme sociali o di messaggistica (quali Instagram o Whatsapp) - deriva dal dato letterale della stessa disposizione, la quale richiede che l'azione perturbatrice sia posta in essere o in un luogo pubblico o, per quanto di interesse in questa sede, col mezzo del telefono.
Si è già ricordato che alla giurisprudenza favorevole alla configurabilità della fattispecie se ne contrappone un'altra (Sentenza n. 40033/2023), che invece ritiene che la contravvenzione non possa essere integrata attraverso applicazioni come Instagram o Facebook, poichè la possibilità di disattivarne le notifiche, essendo rimessa alla totale discrezione del destinatario, consente a questi di sottrarsi all'interazione con il mittente. Tale posizione non risulta isolata nella giurisprudenza della Corte, come testimoniato da altra pronuncia (Cass. pen., sez. I, n.28959/2021, Rv.281755) nella quale si afferma che il delitto ex art. 660 c.p. non è configurabile in caso di ripetuto invio di messaggi di posta elettronica: anche in questo caso, si valorizza l'asincronicità della comunicazione telematica, tale da permettere al destinatario di sottrarsi alle molestie, a differenza di quando la comunicazione avviene con il mezzo del telefono. Il fulcro della questione, quindi, dalla cui risoluzione discende l'adesione all'uno o all'altro orientamento,
riguarda la definizione di molestia e se questa, ove non avvenga personalmente, necessiti del requisito della sincronicità tra offesa e ricezione della stessa; in altri termini, se la molestia sia configurabile solo nelle ipotesi in cui l'offesa è immediatamente recepita dal destinatario, oppure anche ove vi sia uno iato temporale tra la perpetuazione e la ricezione della stessa, tale da consentirne una discrezionale sottrazione.
La soluzione al quesito parrebbe derivare dall'accezione che si intende attribuire al termine “molestia”; questione rimessa alla applicazione giurisprudenziale, stante l'assenza di una precisa definizione nel codice penale.
Interessante, a tal proposito, è una decisione (Cass. pen., sez. I, n. 3758/2013 Rv.258260) in cui, occupandosi della necessità dell'abitualità e della reiterazione dell'offesa per integrare il reato di cui ex art. 660 c.p., i giudici di legittimità definiscono la molestia come un'azione “ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri”.
Secondo l'elaborazione giurisprudenziale, quindi, la molestia deve essere, attraverso la propria modalità d'azione, idonea a perturbare la sfera privata del soggetto offeso.
Si tratta di una tradizione interpretativa che – come anche ricordato dalla Corte costituzionale in occasione (C. cost., 11 giugno 2014, n. 172) della dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 612-bis c.p., per ipotizzata violazione del principio di indeterminatezza - offre la riprova che la descrizione legislativa corrisponde a comportamenti effettivamente riscontrabili (e riscontrati) nella realtà, in linea col senso comune che avverte la molestia come l'"alterare in modo fastidioso o importuno l'equilibrio psichico di una persona normale".
Tanto premesso, non sembra porre particolari problemi l'ipotesi di molestia arrecata mediante i cd. “short messages system” (SMS) trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fissi, la cui rilevanza penale è stata affermata in una pronuncia (Cass. pen., sez. III, n. 28680/2004, Rv. 229464) che evidenzia come tali messaggi non possono essere assimilati alla corrispondenza, in quanto il destinatario di essi è costretto, sia de auditu che de visu, a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il quale in tal modo realizza l'obiettivo di recare disturbo al destinatario.
Sul piano del rispetto del principio di tipicità della fattispecie penale, e dei limiti posti dalla locuzione "col mezzo del telefono", questa pronuncia non incontra difficoltà perché si muove ancora in un sistema di comunicazioni che è caratterizzato dall'utilizzo di un apparecchio telefonico, mentre sul piano della ratio della fattispecie essa rifiuta la tesi che i sistemi di messaggistica veicolati dalle linee telefoniche possano avere una invasività minore della comunicazione tradizionale effettuata con il mezzo del
telefono. Le oscillazioni giurisprudenziali cominciano a manifestarsi nel caso di utilizzo di posta elettronica. In una prima occasione (Cass. pen., sez. I, n. 24510/2010, Rv. 247558), è stata esclusa la sussistenza del reato nel caso di invio di e-mail, osservandosi che il principio di stretta legalità e di tipizzazione delle condotte illecite dell'art.1 c.p. impedisce che l'interpretazione dell'espressione "col mezzo del telefono" possa essere dilatata sino a comprendere anche le modalità di comunicazione asincrona, quale l'invio di
messaggi di posta elettronica, che pure utilizzano la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza: nella pronuncia si afferma che l'invio di un messaggio di posta elettronica - esattamente proprio come una lettera spedita tramite il servizio postale - non comporta (a differenza della telefonata) nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, in quanto "l'azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo (con la possibilità di allegare immagini, suoni o sequenze
audiovisive) in una determinata locazione della memoria dell'elaboratore del gestore del servizio, accessibile dal destinatario" e "la comunicazione si perfeziona, se e quando il destinatario, connettendosi, a sua volta, all'elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e proceda alla lettura del messaggio". 
In una seconda circostanza (Cass. pen., sez. I, n. 36779/2011, Rv 250807), muovendo dal rilievo che i risultati dell'innovazione tecnologica consentono di inviare messaggi di posta elettronica, in entrata e in uscita, attraverso i normali apparecchi telefonici, fissi o mobili, sostanzialmente con le stesse modalità di invio degli sms, la Cassazione ha ritenuto che, ai sensi dell'art. 660 c.p., al termine "telefono" debba essere equiparato, senza esondare dal perimetro dei possibili significati della formulazione letterale impiegata dal legislatore, qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lo stesso di sottrarsi alla "immediata" interazione con il mittente, e che non sia, pertanto, dirimente il criterio incentrato sul carattere sincronico o asincronico del contenuto della comunicazione: dunque, anche l'invio di un messaggio di posta elettronica può realizzare in concreto una diretta e sgradita intrusione del mittente nella sfera delle attività del destinatario, quando la comunicazione sia accompagnata da un avvertimento acustico, che ne indichi l'arrivo in forma petulante, con un'intensità tale da condizionare la tranquillità del ricevente.

Ed infatti, la percezione obbligata da parte del destinatario del ripetuto avvertimento acustico può, infatti, rivelarsi molesta proprio come l'invio ripetuto di squilli telefonici; mentre ad opposte conclusioni dovrebbe invece pervenirsi nel caso in cui il destinatario dei messaggi di posta elettronica non sia avvertito dell'arrivo e decida di aprire la posta elettronica pervenuta, come per la corrispondenza epistolare, senza subire alcun condizionamento costituito da segni o rumori premonitori.
In definitiva, anche questa pronuncia aggancia la interpretazione della locuzione "col mezzo del telefono" all'utilizzo delle linee telefoniche, ma fissa la linea di confine della fattispecie nella circostanza che le comunicazioni avvengano con un mezzo che raggiunge il destinatario dell'azione perturbatrice in modo invasivo, mediante una interazione immediata con il mittente cui il destinatario non può sottrarsi, e tale invasività consisterebbe nel sistema di alert di cui è dotata la forma di comunicazione. Nello stesso solco si colloca un ulteriore arresto (Cass. pen., sez. I, n. 37974/2021, Rv. 282045) relativo a molestie arrecate tramite messaggistica istantanea Sms e Whatsapp, dove si osserva che la interazione immediata, e non gradita, del destinatario con il mittente può consistere non soltanto nell'avvertimento acustico che indica l'arrivo del messaggio, ma anche nella percezione immediata e diretta del contenuto del messaggio attraverso l'anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco.
Le difficoltà interpretative aumentano – evidentemente – con l'affermarsi nell'utilizzo comune di sistemi di comunicazione legati a servizi di rete sociale, come Instagram o Facebook, o applicazioni di messaggistica istantanea, come appunto Whatsapp, tutti viaggianti mediante connessione Internet.

L'orientamento che tende a negare la configurabilità del delitto di cui all'art. 660 c.p. in caso di invio di messaggistica mediante piattaforme quali Instagram, Whatsapp o Facebook sostiene infatti che, data la possibilità per il destinatario di bloccare – disattivando le notifiche e ogni sistema di alert o di preview – la ricezione dei messaggi molesti, tale condotta non sia idonea a provocare un'intrusione non voluta nella sfera privata del ricevente: il carattere offensivo tipico del mezzo del telefono, che presuppone una simultaneità fra l'azione e la ricezione dell'offesa, alla quale non è possibile sottrarsi se non disattivando in toto il dispositivo, non è rinvenibile in tutte quelle situazioni nelle quali l'asincronicità tra l'invio e la ricezione del messaggio escluderebbe l'offensività della molestia, data la possibilità di sottrarsi alla stessa. Al contrario, l'indirizzo condiviso nella sentenza in commento respinge la tesi per la quale la sincronicità costituisca un parametro di riferimento dell'offensività dell'azione; invero, valorizzando l'accezione di molestia intesa come interferenza nella sfera privata altrui, la Corte sostiene che la tipicità della molestia si esaurisce nel momento in cui il messaggio viene inviato, a nulla rilevando la possibilità del destinatario di “bloccare” il contatto, poiché tale scelta sarebbe frutto di un processo deliberativo conseguenza della molestia ricevuta.

Brevi ulteriori considerazioni a margine 
Altra questione di sicuro interesse, come dimostrano i ripetuti interventi giurisprudenziali sul punto, è quella che concerne la natura del reato di molestie in relazione alla episodicità o ripetizione delle stesse; si discute, invero, se per l'integrazione della fattispecie criminosa sia sufficiente un singolo atto o siano necessari, invece, più atti posti in essere in legame fra loro e se, in tal caso, si sia in presenza di un reato continuato o meno.
Il dibattito sorge alla luce della disposizione codicistica che per l'integrazione della fattispecie richiede che la molestia venga arrecata per biasimevole motivo o per petulanza, dovendosi intendere per petulanza “un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l'elemento materiale costitutivo del reato” (Cass. pen., sez. I, n.6064/2017 Rv. 272397).
Sulla scorta di tale pronuncia si comprende come la pluralità di azioni, ove in continuità fra loro, integra l'elemento oggettivo del reato; sicchè la configurabilità del reato continuato non può essere legata al numero di azioni di disturbo, ma caso mai ad un'eventuale sensibile soluzione di continuità fra le stesse, che fa sì che la prima offesa, anche se perpetrata mediante una pluralità di azioni di disturbo, si sia nel frattempo esaurita in virtù dell'intervallo temporale che la separa dal secondo nucleo di molestie.
Peraltro, la pluralità delle condotte – per come precisato dalla Cassazione (Cass. pen., sez. I, n.19631/2018 Rv. 276309) – ha una chiara incidenza sul periodo di prescrizione, che comincia a decorrere dall'esaurimento dell'ultima azione.
Rimane comunque sullo sfondo l'interrogativo sulla necessità o meno – ai fini della integrazione del reato di cui all'art.660 c.p. - di una pluralità di atti.
Anche in questo caso la giurisprudenza appare non totalmente unitaria, poiché ad un orientamento che tende a sostenere la non necessità di reiterazione dell'atto, essendo sufficiente che l'azione di disturbo o molestia sia idonea ad interferire nella sfera privata altrui (Cass. pen., sez. I, n. 3758/2013 Rv. 258260), se ne contrappone, invece, un altro, che richiede che “intrusione nell'altrui sfera personale sia connotata da una significativa estensione temporale” (Cass. pen., sez. V,  n. 52585/2017, Rv. 271634, fattispecie nella quale la Corte ha escluso il reato nell'ipotesi di invio di nove messaggi nel limitato ambito temporale di un'ora circa ed in un'unica giornata).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.