Negato l’indennizzo da polizza infortuni ad un medico di famiglia morto per infezione da Sars Covid 2
23 Giugno 2025
Massima L’ermeneutica giuridica non può disattendere i principi tecnici medico legali che sono sempre stati il fondamento, condiviso tra le Parti, delle “Condizioni generali di Polizza Infortuni”, confondendo e sovrapponendo il concetto di “Causa” a quello di “Conseguenza indennizzabile”. Il caso Concetti di natura esclusivamente “tecnica” medico legale che hanno trovato pressoché sempre totale condivisione in ambito scientifico e idonea collocazione contrattuale – accettata sempre dalle Parti – per individuare i fattori causali idonei e necessari a definire e circostanziare il rischio assicurato, cioè l’infortunio e le sue conseguenze. Va subito precisato che il contratto di Polizza infortuni si fonda sulla “causa di infortunio” e non sulla manifestazione clinica della sua conseguenza, purché la prima abbia tre caratteristiche: provenga dell’esterno del corpo, sia fortuita e sia “concentrata nel tempo”. All’assicurato, soggetto più debole, nulla interessa di come si sia determinato l’infortunio ovvero quale sia la causa violenta (traumatica meccanica, traumatica fisica, chimica, infettiva ecc.) fortuita ed esterna alla propria persona responsabile delle relative lesioni, né assume rilevanza contrattuale il modo in cui si manifestino le stesse conseguenze lesive (acute ed immediate ovvero con un intervallo ibero o anche con evoluzione clinica progressiva), non essendo previsto in nessun Contratto di Polizza infortuni che le stesse debbano essere “immediate”, motivo che giustifica il riconoscimento dell’infortunio per qualsiasi ipotesi lesiva, non solo quella conseguente a trauma meccanico contusivo, purché la genesi sia conseguente a causa violenta, esterna e fortuita. Il problema, dunque, si concentra esclusivamente sul “grado di efficienza lesiva” idonea a determinare lesioni corporali obiettivabili e nel caso di infezione (ma non solo) tale presupposto corrisponde alla “concentrazione cronologica” dell’agente infettante esterno idonea a determinare lesioni corporali obiettivabili, analogamente a ad altre ipotesi “causali” come, ad esempio, in caso di avvelenamento (non a caso il termine “virus” e “veleno” hanno la stessa radice etimologica). Il concetto di efficienza lesiva di causa esterna (e fortuita) idonea a determinare lesioni corporali obiettivabili riguarda, infatti, qualsiasi meccanismo “traumatico”, ivi compreso quello di natura meccanica contusiva: come non tutti i traumi contusivi diretti di un arto possono determinare una lesione fratturativa, foriera di conseguenze di rilevanza contrattuale, analogamente non tutti i contagi virali o batterici concentrati cronologicamente hanno una carica infettante tale da determinare lesioni corporali obiettivabili e conseguenze indennizzabili permanenti (morte o invalidità permanente). La questione Tra le varie argomentazione sostenute in sentenza spicca un “passaggio” che denota, purtroppo, una inesatta ed approssimativa conoscenza dei principi tecnici della medicina legale: si afferma che “… la differenza tra l’infortunio e la malattia non può risiedere nelle conseguenze. Anche un infortunio, infatti, può provocare una malattia (una ferita lacero-contusa può provocare il tetano); così come una malattia può provocare un infortunio (l’osteoporosi può provocare una caduta e una frattura)”. Il presupposto iniziale per cui “la differenza tra infortunio e malattia non può risiedere nelle conseguenze” è pienamente condivisibile, in quanto la differenza – secondo i Principi Generali di Polizza va chiaramente rapportata alla Causa della lesione e non agli effetti con cui si manifesta. La soluzione giuridica Gli esempi, tuttavia, non hanno alcuna logica applicativa. Nel primo caso (una ferita lacero-contusa può provocare il tetano) vengono sovrapposti e connessi due distinti fattori causali: quello di natura meccanica traumatica e quello di natura infettiva conseguente al contagio del batterio Clostridium tetani che possono esitare in differenti e coesistenti conseguenze lesive obiettivabili: una, immediata, sulla funzione della regione cutanea traumatizzata ed una tardiva rappresentata dalla evoluzione della lesione infettiva (causata da battere pervenuto dall’esterno), senza che si possa parlare di autonoma ed endogena “malattia” tetanica. Il secondo esempio appare ancor più “disallineato" alla prassi interpretativa medico legale in materia “contrattuale” allorché si afferma che “… una malattia può provocare un infortunio (l’osteoporosi può provocare una caduta e una frattura)”. Affermazione che sovrappone ancora i fattori causali nel determinismo delle lesioni corporali obiettivabili. Senza entrare nei dettagli tecnici di cosa si debba intendere oggettivamente per “malattia” allorché si identifichi una condizione di Osteoporosi (e lo stesso potrebbe valere per qualsiasi altra condizione degenerativa senile), una lesione fratturativa segue sempre un qualche ammissibile meccanismo “traumatico - meccanico” denunciato dall’Assicurato. Solo in assenza di “fatti” traumatici la manifestazione clinica della “frattura” potrebbe rappresentare autonomamente l’evoluzione della progressiva degenerazione della struttura ossea e quindi un segno di conclamata “malattia osteoporotica”. Il problema, quindi, in caso di infortunio, riguarda sempre ed esclusivamente il concetto di “causa efficiente“ rispetto ad eventuali pregiudizi, connessi a patologie coesistenti, tali da aver concorso nel determinismo delle lesioni obiettivate (e quindi la indennizzabilità delle stesse). L’osteoporosi, quindi, ove sussista un qualsiasi documentato evento traumatico, può rappresentare sempre una possibile “concausa” di lesione che non esclude l’infortunio e – ove assuma oggettiva condizione patologica- potrà portare alla esclusione delle conseguenze indennizzabili, senza che si debba escludere l’infortunio in quanto condizione di “malattia”. Che poi – come affermato in Sentenza - l’osteoporosi possa determinare una “caduta” … è solo una affermazione che richiama i...”misteri della fede”. All’assicurato, che subisce un infortunio, spetta, dunque, dimostrare la “causa violenta” delle lesioni, la loro riconducibilità a fattori patogeni ”esterni” e fornire prova oggettiva delle stesse (clinica o strumentale). Nel caso di infezione virale assume valore di prova l’individuazione del virus e la dimostrazione della lesione corporale conseguenza della infezione, che nel caso del Covid è rappresentata dal classico riscontro di una polmonite interstiziale, la quale non va considerata come “malattia” ma, appunto, come conseguenza obiettivabile di lesione conseguente a causa violenta, esterna e fortuita. Quindi l’infezione virale, se dotata di idonea efficienza causale (cioè concentrata nel tempo) è una “causa violenta“ ove determini una lesione “polmonare“ documentabile. Non si tratta dunque di “malattia" bensì della evoluzione clinica di una lesione indennizzabile realizzatasi a seguito di “causa violenta (concentrata nel tempo) esterna e fortuita, nel totale rispetto dei Principi generali di Polizza. Va ribadito che, ove sussistessero condizioni “patologiche“ coesistenti tali da interferire, o meno, sulla indennizzabilità delle conseguenze delle lesioni obiettivate, questa …. è un’altra storia, che non ha nessun rapporto con i principi generali “costitutivi” il concetto di infortunio. Il rischio “malattia” si fonda, al contrario, su differenti presupposti: la causa – in genere di natura degenerativa - generalmente è interna alla persona (come ad esempio l’aterosclerosi o il diabete) oppure l’azione causale non è concentrata nel tempo (vedasi le patologie croniche degenerative tendinee da sovraccarico funzionale) e talora non può neppure essere considerata “fortuita“ se connessa, ad esempio ad condotte voluttuarie personali (connesse al tabagismo o all‘alcoolismo ecc.). Ed infatti nei contratti di in Polizza con il termine “malattia“ si intende: "ciò che non è infortunio" in quanto condizione patologica evolutiva che ha origine “interna“ all’organismo e che comunque non soddisfa i criteri contrattuali di causa violenta e fortuita. Dalla lettura della sentenza – tuttavia – emergono considerazioni interpretative tecniche,di rilevanza contrattuale, scientificamente inesatte ove si afferma che: “…Tanto la polizza infortuni, quanto la polizza malattia indennizzano un pregiudizio alla salute. Quel che cambia tra l’una e l’altra è la genesi di quel pregiudizio. Nell’assicurazione infortuni il pregiudizio, per patto contrattuale, deve derivare da una lesione violentemente provocata ab externo; nell’assicurazione malattia il pregiudizio deve derivare non da un atto violento, né da una lesione dell’integrità psicofisica, ma da una alterazione patologica..”. Quanto affermato dimostra una inesatta conoscenza dei termini scientifici di rilevanza contrattuale: qualsiasi lesione – che sia dovuta o meno a causa violenta – determina alterazioni patologiche che hanno variabili manifestazioni cliniche. Ciò che conta in Polizza infortuni è esclusivamente la “causa della lesione" ed il suo relativo effetto patologico che richiede un riscontro clinico-strumentale obiettivo ... Che poi l’effetto sia in tutto o in parte o meno indennizzabile, a seconda di intercorrenti “pregiudizi" fisici dell’Assicurato, è un problema secondario, che non esclude - in sé - l’“indennizzabilità” dell’infortunio ove siano rispettati i principi generali di causa “violenta, esterna e fortuita”, ma incide esclusivamente sulla indennizzabilità delle sue conseguenze. Solo in caso che non sia rispettato anche uno solo dei citati principi generali afferenti alla “causa” di infortunio, si potrà parlare di “malattia”, tenuto conto che il concetto di “integrità psico fisica “ – in tale ambito - ha un valore “relativo” e va necessariamente modulato in rapporto all’ età del danneggiato: spesso alcune condizioni presunte “ atologiche“ altro non sono che condizioni parafisiologiche connesse all’età e quindi tali da rientrare, contrattualmente - nel concetto di “integrità psico-fisica“ dello specifico soggetto Assicurato. Ove un contratto di Polizza preveda entrambi i rischi (”malattia e infortuni “ e , quindi, con differenti previsioni indennizzative) ciò non giustifica in se l’automatico inquadramento indennizzativo delle infezioni in una condizione di malattia in base alle sole modalità di manifestazione del quadro clinico, ma richiede una verifica tecnica adeguata a stabilire il rapporto causale coi principi generali di Polizza: cioè se la patologia derivi da causa violenta, esterna e fortuita (quindi ascrivibile a un infortunio) , ovvero se non siano soddisfatti tutti questi criteri “contrattuali“, nel qual caso la manifestazione clinica della lesione denunciata potrà essere inquadrata come “malattia”. Che la questione vada inquadrata in uno specifico contesto tecnico medico legale pare evidente anche dalle volontà espresse concordemente dalle Parti in qualsiasi Contratto di Polizza Infortuni ove è previsto che, in caso di “controversie sulla natura e conseguenze dell’infortunio denunciato“ la materia debba essere sottoposta a verifica Arbitrale Medico legale. Stupisce come nell’intera Vicenda Processuale nessun Giudice abbia attivato – analogamente - una opportuna Istruttoria medico legale per chiarire i “termini contrattuali“ della questione: se non altro per una corretta definizione e distinzione del rapporto “causa contrattualmente rilevante” ed “effetto”, cioè la lesione corporale obiettivabile, che nel caso della infezione da Sars Cov 2 è rappresentata dalla Polmonite virale che può portare progressivamente ad un regime di ipossiemia con successiva acidosi metabolica, insufficienza renale con squilibrio elettrolitico, patosi pluriviscerale fino ad un terminale “shock cardiogeno” che in genere rappresenta la causa “ultima“ del decesso: quadro clinico che va interpretato “contrattualmente” come “evoluzione di lesione infettiva che ha violentemente e fortuitamente contagiato, dall’esterno, l’Assicurato e non come "autonoma malattia infettiva". Questi semplici principi sono sempre stati alla base di qualsiasi principio assicurativo di Polizza Infortuni e come tali ben noti all’Assicuratore, ivi compresa la reale valenza contrattuale dell’ infortunio conseguente ad infezione (causa violenta), in osservanza al pressoché costante indirizzo dottrinario medico legale applicato da decenni in ambito contrattuale di Polizza Infortuni. Non a caso fino ai primi anni del 2000 in tutte le Polizze infortuni le conseguenze dirette dell’infezione erano di fatto specificamente “escluse dal Contratto“, in quanto riconosciute esclusivamente le conseguenze delle infezioni realizzatesi a seguito di penetrazione dell’agente “infettante” nell’organismo tramite lesioni della superficie cutanea (da ferita ovvero da puntura di insetto). Esaminando il caso rappresentato in Sentenza, è doveroso segnalare tuttavia che tale “clausola”, in vero, era presente nel contratto di Assicurazione stipulato dall’Enpam con la Compagnia di Assicurazione e quindi avrebbe potuto rappresentare – indirettamente - condizione di esclusione dell’indennizzo delle conseguenze dirette dell’infezione virale, salvo verifica ai sensi dell’art art. 1367 c.c. tenuto conto che il Contratto stipulato dall’ ENPAM era destinato esclusivamente a Personale Sanitario Medico che – per esigenze Professionali (e anche per dovere di Solidarietà) – è sicuramente più esposto di qualsiasi altro soggetto “non medico“ a contagio “virale“ ed quindi consapevole dei rischi connessi a contagio acuto di una qualsiasi forma infettiva diffusiva, dovendosi presumere che la Sua “specifica volontà” fosse quella di avere una esaustiva copertura assicurativa in rapporto allo specifico rischio lavorativo. In conclusione
È stata, dunque, un scelta unilaterale dell’Assicuratore che non può giustificare alcun mutamento delle finalità contrattuali o della volontà delle Parti, né può rappresentare un motivo che giustifichi la necessità di una nuova interpretazione dello stesso contratto.
In sostanza, va preso atto che, in molti contratti di Polizza Infortuni è stata semplicemente eliminata, da parte dell’Assicuratore, la clausola di esclusione dell’indennizzo delle conseguenze “dirette” dell’infezione, dovendosi in tal senso condividere quanto affermato nella stessa Sentenza.”... "Nell’assicurazione privata non conta cosa sia una infezione dal punto di vista clinico, ma conta cosa le parti del contratto hanno voluto che fosse..”: Se l’infezione “acuta” non fosse mai stata considerata “infortunio“, non vi sarebbe stata la necessità di specificarne, anche solo indirettamente, l’esclusione. |