Appello cautelare inviato ad indirizzo PEC del tribunale del riesame diverso da quello destinato al deposito degli atti
19 Giugno 2025
Massima Non è causa di inammissibilità la trasmissione dell'appello cautelare ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello specificamente destinato alla ricezione degli atti di impugnazione, purché riferibile al medesimo tribunale del riesame. Il caso Il tribunale del riesame ha dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso l'ordinanza di aggravamento della misura cautelare emessa nei confronti dell'indagato perché trasmesso ad un indirizzo di posta elettronica certificata del Tribunale del riesame diverso da quello indicato per il deposito degli atti dal direttore della direzione generale per i sistemi informatici del ministero della giustizia (DGSIA). Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per Cassazione. Con il primo motivo, è stata dedotta la violazione degli artt. 568, comma 5, c.p.p., 87-bis d.lgs. n. 150 del 2022 e 591 c.p.p., in quanto le previsioni normative citate devono essere interpretate in termini costituzionalmente orientati e coordinate con il principio del favor impugnationis. Con il secondo motivo è stata dedotta l'illegittimità costituzionale delle norme citate, ove fossero interpretate nel senso di rendere inammissibile il gravame trasmesso ad un indirizzo di posta elettronica certificata non compreso nel provvedimento del direttore della DGSIA, prospettandosi la lesione del diritto di accesso al tribunale e, dunque, la violazione dei parametri costituzionali di cui all'art. 24 e 111 Cost. La questione L'art. 87-bis, comma 7, lett. c), cit. dispone che, fermo restando la disciplina delle cause di inammissibilità dell'impugnazione disciplinate dall'art. 591 c.p.p., nel caso di proposizione dell'atto a mezzo PEC, l'impugnazione è inammissibile anche «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato». È ammissibile l'appello cautelare inviato ad un indirizzo PEC del tribunale del riesame, che tuttavia non era quello indicato nel provvedimento del direttore di DGSIA come deputato al deposito degli atti d'impugnazione? Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte ha ritenuto che non sia causa di inammissibilità la trasmissione dell'atto di gravame ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello specificamente designato per la ricezione, purché “riferibile” al medesimo ufficio giudiziario destinatario ed indicato tra quelli assegnati allo stesso ufficio giudiziario nell'elenco allegato al provvedimento del Direttore Generale dei servizi informativi e automatizzati del ministero della giustizia. L'atto di impugnazione, infatti, era stato inviato ad un indirizzo PEC dello stesso tribunale del riesame, ancorché non deputato alla ricezione di tali atti. La cancelleria ne ha attestato la ricezione con una nota scritta a mano in calce all'atto di trasmissione. La circostanza che il funzionario di cancelleria che ha apposto l'attestazione appartenesse al tribunale del riesame è stata confermata dal fatto che lo stesso indirizzo PEC era stato adoperato dall'ufficio per la successiva comunicazione della fissazione dell'udienza. La soluzione accolta dalla Corte si fonda su una lettura particolarmente rigorosa del dato normativo. È stato sottolineato come la norma che stabilisce la causa di inammissibilità richieda espressamente che l'atto sia trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non “riferibile” all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, ma non anche che l'invio avvenga all'indirizzo specificamente deputato alla ricezione degli atti di impugnazione. Fermo restando che deve trattarsi di indirizzo indicato nel provvedimento del DGSIA, non si verificherebbe l'inammissibilità se l'atto d'impugnazione fosse inviato a un indirizzo errato, ma ugualmente in uso da parte dell'ufficio giudiziario, cioè “riferibile” all'ufficio, seppur dedicato ad altri fini. Secondo questa impostazione, l'art. 87-bis cit. ha voluto superare la disciplina di “estremo rigore” prevista dalla normativa emergenziale, nei casi in cui l'atto di impugnazione si è inviato non all'indirizzo specificamente designato per la ricezione di tali atti, ma ad altro indirizzo di posta elettronica certificata dello stesso ufficio, «sempre che si tratti di indirizzo indicato nel provvedimento del direttore della DGSIA». E' stato affermato che questa soluzione è resa doverosa dalle fonti sovranazionali sul giusto processo perché, se è vero che sulla materia della presentazione dell'impugnazione la Corte edu riconosce agli Stati un ampio margine di apprezzamento, è vero anche che le restrizioni applicate non devono limitare l'accesso dell'individuo in una maniera o in un punto tale che il diritto ad un tribunale risulti pregiudicato nella sua stessa sostanza (Corte edu, Garcia mani libardo c. Spagna n. 38695/97). A sostegno della interpretazione proposta è anche richiamata la giurisprudenza formatasi in relazione alla disciplina emergenziale, in relazione alla quale si è ritenuto non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione la sua trasmissione ad un indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio giudiziario diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del presidente del tribunale, ma compreso nell'elenco allegato al provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, in quanto tale sanzione processuale è prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. cit. esclusivamente in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi neppure nell'allegato del citato provvedimento direttoriale (Cass. pen., sez. V, 10 maggio 2021, n. 24953, G., Rv. 281414). Osservazioni 1. L'art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. n. 137/2020, convertito, con modificazioni, nella l. n. 176/2020, stabiliva che l'impugnazione è inammissibile anche «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4». Questa ipotesi di inammissibilità è stata riproposta dall'art. 87-bis, comma 7, lett. c), del d.lgs. n. 150 del 2022, con una significativa differenza nella formulazione della norma. Si è passati dalla formulazione «indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4” alla formulazione “quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato». 2. Secondo l'orientamento prevalente (Cass. pen., sez. I, 29 novembre 2024, n. 47557; in senso conforme, Cass. pen., sez. II, 21 febbraio 2024, n. 11795), è inammissibile il ricorso per cassazione depositato telematicamente presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all'art. 87-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non potendo accedersi ad una interpretazione della norma dirette a valorizzare la capacità del deposito non legittimo di raggiungere lo scopo a cui l'atto è diretto. A favore di tale soluzione depone, in primo luogo, il principio generale dettato dall'art. 12 delle preleggi, in base al quale, nell'applicare la legge «non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore». Nel caso di specie, il dato letterale delinea la volontà di realizzare una semplificazione del procedimento di deposito dell'impugnazione con modalità telematiche che, tuttavia, impongono il necessario rispetto di specifici requisiti, tra i quali l'invio al corretto indirizzo di posta elettronica certificata. Legittimare la possibilità di scrutinare, caso per caso, l'effettività dell'inoltro del ricorso presso indirizzi di posta non abilitati implicherebbe, invece, l'affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili – e non dovuti in quanto non imposti dal legislatore – controlli della cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni. Ritenendo ammissibile anche l'impugnazione inviata ad un indirizzo a ciò non deputato, si contravverrebbe alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione dell'iter processuale, che informa la revisione delle regole del processo penale effettuata dal d.lgs. n. 150/2022. Analogo principio è stato affermato anche in relazione ad un caso in cui l'opposizione a decreto penale di condanna era stata depositata ad un indirizzo PEC indicato sul sito web dell'ufficio giudiziario che, tuttavia, era diverso rispetto a quello contenuto nel provvedimento del DIGSIA, essendosi ritenuto che l'art. 87-bis, cit., contiene un inderogabile rinvio normativo ai soli indirizzi indicati nella fonte ministeriale che non ammette equipollenti (Cass. pen., sez. IV, 14 novembre 2023, n. 48804). Anzi, è stato affermato che il difetto della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di posta elettronica di destinazione dell'impugnazione trasmessa a mezzo PEC (perché diversa da quella indicata dal provvedimento del 9 novembre 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi del comma 4 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazione dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176) determina l'inesistenza giuridica dell'atto e, di conseguenza, l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. pen., sez. I, 7 aprile 2022, n. 28587; Cass. pen., sez. III, 29 aprile 2021, n. 26009). Il difetto della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di destinazione, difatti, pone in dubbio l'idoneità dell'invio dell'atto al raggiungimento dello scopo processuale che la legge gli affida, impedendo l'applicazione del principio di conservazione, giustificando la sanzione dell'inammissibilità. Più di recente, è stato affermato che, ai sensi dell'art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150 del 2022, il tribunale del riesame deve dichiarare inammissibile la richiesta di riesame presentata all'indirizzo di posta elettronica certificata del giudice per le indagini preliminari che ha emesso l'ordinanza impugnata (Cass. pen., sez. I, 5 marzo 2025, n. 11165). 3. La sentenza illustrata, invece, ha accolto un diverso orientamento, affermando che non sia causa di inammissibilità la trasmissione dell'atto di gravame ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello specificamente designato per la ricezione, purché “riferibile” al medesimo ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento impugnato ed indicato nell'elenco allegato al provvedimento del Direttore Generale dei servizi informativi e automatizzati del ministero della giustizia (in precedenza Cass. pen., sez. VI, 9 novembre 2023, n. 4633, dep. 2024). Va sottolineato, peraltro, che era stato adoperato un indirizzo PEC dello stesso tribunale del riesame, cioè, dell'ufficio giudiziario destinatario dell'impugnazione, e comunque di un indirizzo PEC che risultava nell'elenco diffuso dal direttore di DGSIA tra quelli assegnati allo stesso ufficio. La Corte di cassazione, inoltre, accedendo al fascicolo, ha riscontrato che la sussistenza di un elemento probatorio - la sottoscrizione del funzionario di cancelleria ricevente - dal quale è stato desunto che che l'impugnazione avesse raggiunto lo scopo. 4. L'indirizzo giurisprudenziale appena illustrato, dunque, ha valorizzato, come fatto che permette di superare l'illegittimità dell'invio ad un indirizzo diverso da quello indicato nel provvedimento di DGSIA, il raggiungimento dello scopo. Entrambi gli orientamenti, nondimeno, escludono che, nel caso della trasmissione ad un indirizzo PEC non deputato alla ricezione del gravame, sulla cancelleria incomba l'obbligo di trasmissione degli atti al giudice competente. La data di presentazione dell'impugnazione, inoltre, rilevante ai fini della tempestività dell'atto, è quella in cui l'atto perviene all'ufficio competente a riceverlo (Cass. pen., sez. VI, 17 aprile 2025, n. 19415, che richiama i principi espressi da Cass. pen., sez. un., 24 settembre 2020, n. 1626, Bottari, Rv. 280167). Anzi, è precisato che la prospettiva interpretativa accolta non pregiudica l'esigenza di non imporre alla cancelleria controlli non previsti dalla legge su caselle di posta elettronica non abilitate alla ricezione delle impugnazioni perché è escluso che tale compito competa punto alla cancelleria, in quanto il rischio della mancata tempestiva trasmissione alla cancelleria del giudice competente incombe unicamente sul ricorrente. Ne consegue che anche la tesi incline a garantire la conservazione dell'atto che ha permesso il raggiungimento dello scopo precisa che, qualora il ricorrente invii l'atto di impugnazione ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello specificamente deputato alla ricezione di tali atti, assume il rischio che l'impugnazione, perché presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarato inammissibile per tardività. |