I requisiti della convivenza e dell’inabilità nella previsione del diritto del figlio maggiorenne a percepire una percentuale della pensione di reversibilità del genitore deceduto

19 Giugno 2025

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione chiarisce, da un lato, quali siano i requisiti necessari affinché un figlio maggiorenne possa beneficiare della pensione di reversibilità del genitore deceduto e, dall’altro lato, precisa anche a chi competa il relativo onere della prova. Nel farlo, la Suprema Corte, oltre a soffermarsi sui singoli presupposti e a esplicitare quale sia la loro corretta interpretazione, delinea, nello specifico, fino a che punto sia compito della Corte Suprema stessa approfondire e quando, invece, gli approfondimenti ancora necessari debbano essere svolti (e, dunque, demandati) dalla Corte territoriale competente.

Massima

Nell’accertare il diritto del figlio maggiorenne a percepire la pensione di reversibilità del genitore deceduto, la Suprema Corte deve verificare l’esistenza di due requisiti, ovvero l’inabilità al lavoro proficuo e la “vivenza (del figlio) a carico” del genitore deceduto, essendo necessario dare dimostrazione del fatto il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura prevalente, al mantenimento della prole inabile, incombendo l’onere della prova, ex art. 2697 c.c., solo ed esclusivamente sul richiedente l’accertamento del diritto.

Il caso

All'esito di un procedimento di primo grado in cui il Tribunale aveva respinto - per mancanza di documentazione sullo stato di accertata inabilità e di vivenza a carico - la domanda di un uomo volta a percepire la pensione di reversibilità della madre deceduta, la Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale, accoglieva la domanda del ricorrente.

La Corte d'Appello fondava la propria decisione sull'esistenza di entrambi i requisiti necessari per il riconoscimento del diritto alla percezione della pensione di reversibilità, ovvero la vivenza a carico e l'inabilità del figlio maggiorenne.

Nella prospettiva dei giudici di secondo grado, infatti, il vivere a carico di un genitore può anche non identificarsi con una vera e propria convivenza o con una condizione di totale soggezione finanziaria, essendo sufficiente dimostrare - per vedersi riconosciuto il diritto a percepire la pensione di reversibilità - che il genitore deceduto (la madre nel caso di specie) avesse provveduto, quando era in vita, in misura pressoché prevalente (quindi, anche non integrale) al mantenimento del figlio.

Quanto alla condizione di inabilità del figlio maggiorenne a carico, la Corte d'Appello sosteneva che la Consulenza Tecnica d'Ufficio, svolta in secondo grado, avesse ravvisato in capo al ricorrente la condizione di inabile a qualsiasi proficuo lavoro fin dalla data del decesso del genitore, inabilità derivante da patologie preesistenti.

Alla luce della riforma del provvedimento di primo grado, l'INPS presentava ricorso per Cassazione, fondato su un unico motivo, ovvero la violazione o falsa applicazione dell'art. 13, r.D.L. n. 636/1939 (come sostituito dall'art. 22, l. n. 903/1965), nonché dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., “per avere la sentenza impugnata riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità in capo al figlio maggiorenne della pensionata senza averne accertato la sussistenza del requisito della vivenza a carico al momento del decesso, evidenziando che sarebbe stato onere del richiedente dimostrare l'esistenza, e non già dell'INPS di fornire la prova contraria.”.

Il controricorrente, costituendosi in giudizio, eccepiva l'inammissibilità del ricorso, in quanto il contenuto di quest'ultimo sarebbe stato una pretesa di un mero riesame di elementi di fatto già valutati in appello.

La questione

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per tornare a soffermarsi sui requisiti da analizzare in tema di diritto del figlio maggiorenne a percepire una percentuale della pensione di reversibilità del genitore deceduto.

Nel caso di specie, la Corte di legittimità si sofferma sia sull’individuazione e sulla corretta interpretazione da dare ai (due) requisiti indispensabili affinché il figlio maggiorenne abbia diritto alla pensione di reversibilità del genitore deceduto, nonché su chi incomba l’onere della prova circa l’esistenza o meno di tali requisiti.

Le soluzioni giuridiche

Il ragionamento logico-giuridico della Corte di Cassazione trae origine dalla normativa che disciplina l'istituto della pensione di reversibilità, in particolare dall'art. 13 del r.d.l. n. 636/1939, così come modificato dall'art. 22 della l. n. 903/1965, che prevede che “Nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato … spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi”.

Chiarito, dunque, che, come previsto dalla legge, al figlio maggiorenne (i) inabile al lavoro e (ii) a carico del genitore al momento del decesso di quest'ultimo spetta una percentuale della pensione di reversibilità del genitore pensionato o assicurato deceduto, la giurisprudenza scioglie anche ogni dubbio interpretativo su cosa si intenda per “vivenza a carico” del genitore e a chi spetti l'onere della prova.

Con una prima pronuncia nell'anno 2018 (cfr. Cass. n. 9237/2018), la Suprema Corte ha affermato che, nonostante il requisito della vivenza a carico del figlio maggiorenne inabile non si debba identificare indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria, lo stesso debba, in ogni caso, essere considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore deceduto provvedeva, “in via continuativa e in misura quanto meno prevalente”, al mantenimento del figlio inabile.

Tale interpretazione sul requisito della “vivenza a carico” del figlio maggiorenne inabile è stata confermata anche dalla recentissima pronuncia della Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 15041/2024), laddove si legge che il requisito della “vivenza a carico, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedere, in via continuativa e in misura quantomeno prevalente, al mantenimento del figlio inabile”.

Sul piano probatorio, vengono in soccorso sia una pronuncia della Suprema Corte Sezioni Unite dell'anno 2004, n. 11353, sia una successiva e più recente decisione della Corte di Cassazione dell'anno 2016, n. 8023, con cui si è stabilito che l'onere della prova del fatto costitutivo del diritto alla pensione di reversibilità incombe “su chi tale diritto ha fatto valere in giudizio, a norma dell'art. 2697 c.c.”.

Sul punto, i Giudici di legittimità percorrono un ulteriore passo in avanti, laddove affermano che “il giudice non può sopperire alle carenze probatorie imputabili alle parti”, potendo egli solo “integrare un quadro probatorio già tempestivamente delineato dalle parti”. Pertanto, in conclusione, l'accertamento del sostentamento - in via continuativa e in misura prevalente - del figlio inabile da parte del genitore è tipico giudizio di fatto demandato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità.

Alla luce di tali principi - che, con la pronuncia in esame, sono stati confermati - la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, il ricorrente non abbia dato prova sufficiente per dimostrare la sussistenza del requisito della “vivenza a carico” del genitore deceduto.

I Giudici di legittimità hanno, infatti, evidenziato come la mera produzione di una certificazione dell'Agenzia delle Entrate non risolva i seguenti dubbi: se al sostentamento del figlio inabile al proficuo lavoro abbia contribuito solo il genitore pensionato e se, dunque, il reddito documentato con la citata certificazione non sia stato sufficiente a soddisfare le reali esigenze di vita del ricorrente, al punto da giustificare un intervento di sostentamento economico della madre pensionata.

Seguendo i principi di cui sopra, la Corte di Cassazione conclude come, da un lato, sia demandato alla Corte territoriale - che non vi ha, invece, provveduto - l'approfondimento circa l'esistenza della prevalente e continuativa fonte di sostentamento materno (genitore deceduto) e, dall'altro lato, non solo non risulti chiarita la circostanza della convivenza, ma non sia stata neppure provata l'esistenza o meno di obblighi di assistenza materiale derivanti da un eventuale status coniugale del figlio maggiorenne inabile.

Osservazioni

Con l'ordinanza in esame, la Corte di cassazione, richiamata la normativa che disciplina il diritto a percepire la pensione di reversibilità da parte del figlio maggiorenne inabile al lavoro (art. 13 del r.D.L. n. 636/1939), si sofferma sui presupposti che le Corti territoriali devono vagliare ai fini di attribuire o meno alla prole maggiore di 18 anni il diritto a percepire la predetta pensione, ovvero:

1) l'inabilità al lavoro proficuo, dimostrabile con apposita certificazione medica;

2) la “vivenza a carico”: il figlio maggiorenne e inabile al lavoro, che intende vedersi riconosciuto il diritto a percepire la pensione di reversibilità, deve dimostrare che il genitore deceduto provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al suo mantenimento.

La prova di tale ultimo requisito, che deve essere rigorosa, ai sensi dell'art. 2697 c.c. deve fornirla il ricorrente, ovvero colui che intenda vedersi riconosciuto il predetto diritto, oltre al fatto che l'analisi dell'esistenza o meno di tale presupposto (“vivenza a carico”) è demandato alla Corte territoriale, non potendo la Suprema Corte entrare nel merito di circostanze fattuali.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.