La tutela dell'habitat domestico dei figli nell’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio
16 Giugno 2025
Massima In tema di assegnazione della casa familiare, il giudice della separazione o divorzio è chiamato a decidere se sussistano o meno le ragioni per conservare ai figli il loro habitat domestico e può incidere sui diritti dominicali solo in quanto vi sia un interesse del figlio minore o maggiorenne non economicamente autosufficiente da tutelare, restando estranea ogni valutazione relativa alla ponderazione degli interessi di natura solo economica o abitativa dei genitori. Il caso La vicenda riguarda un padre che, a seguito della pronuncia di parziale accoglimento del gravame proposto avverso il provvedimento del Tribunale di rigetto della domanda di modifica delle condizioni di divorzio, aveva ottenuto di disporre del primo piano della casa coniugale, in origine assegnata interamente alla ex moglie. Il decreto rilevava come, pur non sussistendo le condizioni per revocare l'assegnazione della casa familiare dal momento che la figlia risultava ancora non autonoma economicamente, la suddivisione in due diverse unità abitative dell'immobile adibito a residenza della famiglia, appariva condivisibile e idonea a tutelare le esigenze della figlia stessa, anche considerato che l'originario nucleo familiare si era numericamente ridotto, in quanto il resto della prole aveva raggiunto l'indipendenza economica. Avverso tale decisione l'ex coniuge proponeva ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, ed in particolare lamentando la violazione dell'art. 9 l. n. 898/1970, legge sul divorzio, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per inesistenza di giustificati motivi che autorizzassero la revisione delle condizioni divorzili e per la non modificabilità su istanza unilaterale di previsioni pattizie patrimoniali, in mancanza di fatti nuovi rilevanti a tal fine. Lamentava altresì la violazione dell'art. 337-sexies c.c., in riferimento alla parziale assegnazione della casa coniugale a genitore non collocatario della prole e violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato; a suo dire, il provvedimento stravolgeva gli accordi già assunti in sede di divorzio, nei quali si prevedeva l'automatica caducazione della assegnazione solo allorquando tutti i figli si fossero resi autonomi, in un contesto di immobile in comproprietà fra i due genitori in presenza di figlia maggiorenne. La Suprema Corte, cui viene sottoposta la questione, accoglie il ricorso e revoca l'assegnazione del primo piano della casa coniugale al padre, cassando il provvedimento del giudice di merito che era intervenuto assegnando una parte dell'immobile al genitore non convivente con la prole, in considerazione delle sue esigenze abitative e riducendo senza alcun motivo collegato all'interesse diretto della figlia all'habitat domestico. Si osserva, in motivazione, che il giudice della separazione o divorzio è chiamato a decidere se sussistano o meno le ragioni per conservare ai figli il loro ambiente domestico e non anche a intervenire nel regolamento della proprietà o dei diritti reali che spettano all'uno o all'altro genitore sull'immobile (Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2022, n. 20452, cit.; per l'importanza della sussistenza del rapporto preferenziale del minore con l'habitat domestico, Cass. civ., sez. I, ord., 17 maggio 2025, n. 13138). La questione La pronuncia riconduce al tema dell'assegnazione, nella fattispecie parziale, della casa coniugale, ambito su cui dispone l'art. 337-sexies c.c., ai sensi del quale il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. In motivazione, viene evidenziata la ratio della disposizione di protezione nei confronti di questi ultimi e di tutela del loro interesse a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, con il riferimento al previgente art. 155-quater c.c., introdotto dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54 e all'attuale previsione di cui all'indicato art. 337-sexies c.c., introdotto dal d.lgs. n. 154/2013, in vigore dal 7 febbraio 2014 (cfr. Cass. civ. sez. I, ord. 12 ottobre 2018, n. 25604, cit., per una panoramica storico-normativa, dal previdente art. 155 c.c., comma 4 e, per il divorzio, la l. n. 898/1970, art. 6, all'art. 155-quater c.c. e all'attuale art. 337-sexies c.c.). Le soluzioni giuridiche I Giudici preliminarmente osservano come la Corte territoriale non avesse adeguatamente messo in evidenza quale sarebbe stato il fatto nuovo e la sua incidenza in ordine alla revisione delle condizioni di divorzio dal momento che, nella fattispecie, una delle tre figlie non aveva ancora raggiunto l'autosufficienza economica, né inoltre il successivo matrimonio della madre avesse comportato l'abbandono del domicilio domestico e il venir meno dei presupposti per l'assegnazione della casa familiare; presupposti legati alla valutazione del preminente interesse della figlia, il cui diritto al mantenimento dell'habitat domestico era da tutelare, in ragione del mancato conseguimento dell'indipendenza e anche in relazione alle previsioni pattizie concordate ab origine tra i coniugi (v. Cass. civ., sez. I, ord. 13 maggio 2025, n. 12816, in materia di revisione delle condizioni divorzili). Emerge all'evidenza, in motivazione, il riferimento alla Corte costituzionale che, con sentenza 30 Luglio 2008, n. 308, cit., delinea nel concetto di casa familiare quella corrispondenza alla predisposizione e conservazione dell'ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, interessi e consuetudini di vita, che contribuisce in misura fondamentale alla formazione armonica della personalità della prole, funzionalizzata alla tutela e all'interesse dei figli, secondo il riconoscimento sancito dagli articoli 29,30 e 31 della Costituzione (https://www.cortecostituzionale.it/actionRicercaSemantica.do). Si osserva altresì che la casa familiare può essere assegnata ad uno dei genitori, tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli, sulla scorta della previsione fornita dal dato normativo di cui all'art. 337 sexies c.c. e se ed in quanto se detta assegnazione sia diretta a conservare l'habitat domestico del figlio minorenne o maggiorenne, ma non ancora economicamente autosufficiente, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate; risultando pertanto estranea a tale decisione ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, ove in tale apprezzamento non entrino le esigenze della prole di rimanere nell'ambiente domestico quotidiano (Cass. civ. sez. I, 12 ottobre 2018, n. 25604; Cass. civ. sez. I, ord. 7 febbraio 2018, n. 3015; Cass. civ. sez. I, 23 maggio 2000, n. 6706; Cass. civ. sez. I, ord., 11 novembre 2021, n. 33610; Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2022, n. 20452). Alla luce del contesto normativo e giurisprudenziale, emerge il rilievo che non solo l'assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della stessa, è subordinata ad un apprezzamento, da parte del giudice, di rispondenza all'interesse della prole (Corte cost. 30 Luglio 2008, n. 308). Sul punto, per quel che può essere di interesse specificamente per la questione, la Corte rileva come non possa disporsi l'assegnazione parziale della casa familiare, se non in casi particolari e a determinate condizioni, in fattispecie di unità immobiliare del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia, ovvero questa ecceda per estensione le esigenze della famiglia e sia agevolmente divisibile (cfr. Cass. civ. sez. I, 11 novembre 2011, n. 23631). In evidenza, in motivazione, anche il richiamo a pronunce di legittimità, in tema di separazione personale dei coniugi, tra le quali Cass. civ. sez. I, ord. 11 aprile 2014, n. 8580 cit., secondo cui, il giudice può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprietà esclusiva del genitore non collocatario, anche nell'ipotesi di pregressa destinazione a casa familiare dell'intero fabbricato, ma ove tale soluzione, esperibile in relazione del lieve grado di conflittualità coniugale, agevoli in concreto la condivisione della genitorialità e la conservazione dell'"habitat" domestico dei figli minori; qualora, peraltro, il genitore non collocatario muti residenza, vengono meno i presupposti applicativi che regolano l'istituto, non trovando più giustificazione il provvedimento di assegnazione parziaria, che sia fondato, erroneamente, sulla riconducibilità alla casa familiare, in mancanza di riscontri di fatto, della sola porzione occupata dal genitore collocatario e sulla sufficienza, alla luce dell'art. 1022 c.c., della titolarità, da parte del genitore non collocatario, della proprietà dell'intero fabbricato. Emerge nuovamente la ratio che regola l'istituto in esame, previsto a tutela dell'interesse prioritario dei figli; risulta estranea all'assegnazione, anche di sola porzione, della casa familiare, ogni valutazione inerente alla ponderazione degli interessi di natura solo economica o abitativa dei genitori, il potere di imporre limiti al diritto dominicale esercitandosi nell'ambito dell'art. 337-sexies c.c. e trattandosi di provvedimento in favore del genitore convivente con i figli e nell'interesse di costoro (Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2022, n. 20452). La Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato. Rileva da ultimo come, nella fattispecie dedotta, il giudice di merito fosse intervenuto assegnando una parte dell'immobile (il primo piano) al genitore non convivente con la prole in considerazione delle sue esigenze abitative, riducendo senza alcun motivo collegato all'interesse diretto della figlia all'habitat domestico di quest'ultima e pervenendo ad una decisione praeter legem “dal momento che il giudice della separazione o divorzio è chiamato a decidere se sussistano o meno le ragioni per conservare ai figli il loro ambiente domestico e non anche a intervenire nel regolamento della proprietà o dei diritti reali che spettano all'uno o all'altro genitore sull'immobile”. Osservazioni La fattispecie di cui all’ordinanza annotata si inquadra in un ambito specifico, in tema di assegnazione della casa coniugale, offrendo lo spunto per evidenziare le finalità sottese all’istituto giuridico che permette l’attribuzione dell'immobile familiare in modo da garantire la continuità abitativa dei figli e il loro armonico sviluppo e crescita. La Suprema Corte perviene alla decisione, nella fattispecie sottoposta alla sua attenzione, con argomentazioni che si inseriscono all’interno degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, di cui si è fatto cenno. Vale la pena segnalare il riferimento, in motivazione del provvedimento annotato, alla casa familiare e ai “presupposti per l’assegnazione, legati pur sempre alla valutazione del best interest del figlio”, ove l’importante richiamo alla pronuncia della Corte Costituzionale citata, principio che in questa sede rileva in ottica di separazione e divorzio, ma che in generale è ampiamente trattato per l’importanza che assume nei diversi contesti e ambiti (cfr. Cass. civ., sez. I, ord. 9 maggio 2025, n. 12339; si v., Trib. Pisa 23 luglio 2024). In generale, il tema riporta alla centralità del preminente interesse del figlio e, per quel che può essere qui utile notare anche per l’attualità della materia, in particolare, alla centralità del “miglior interesse del minore” nel sistema normativo, alla luce dei principi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria (Corte cost 22 maggio 2025, n. 68). |