Ascolto del minore, consulenza tecnica e violenza domestica

19 Giugno 2025

L’ordinanza in commento pone una serie di interessanti questioni riguardanti il rito unico in materia familiare e minorile. Le questioni riguardano, in particolare: l'onere di motivare le ragioni dell'omesso ascolto del minore infra-dodicenne; la possibilità per il giudice di recepire acriticamente il risultato della consulenza tecnica d'ufficio; la possibilità di ritenere insussistente, in sede civile, gli estremi della violenza domestica sulla base della valutazione operata dal giudice penale. 

Massima

In tema di ascolto del minore di età inferiore ai dodici anni, l’obbligo del Giudice di motivare le ragioni per le quali non ritiene di dover provvedere all’ascolto sussiste solo in presenza di una istanza di parte che indichi gli argomenti ed i temi di approfondimento sui quali si ritiene necessario acquisire l’opinione del minore.

Nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto l’idoneità genitoriale, il risultato della consulenza tecnica di ufficio - anche laddove contenta la diagnosi di una patologia o di una anomalia personologica di uno o di entrambi i genitori - non può essere recepito acriticamente dal Giudice, me deve essere inserito nel contesto della dinamica processuale in cui viene in rilievo.

Se, nel corso di un procedimento familiare, la parte allega comportamenti aggressivi o violenti di un genitore nei confronti dell’altro, il Giudice civile deve necessariamente indagare per verificare se questi comportamenti sono stati effettivamente tenuti e se hanno avuto una qualche incidenza sulla relazione familiare, senza poter invocare la sussistenza di un provvedimento assolutorio o di archiviazione pronunziato dal giudice penale.

Il caso

Il padre di due figli minorenni proponeva ricorso ex art. 709-ter c.p.c. lamentando l’impossibilità di esercitare il diritto di visita così come era stato stabilito nelle condizioni di separazione.

Il Tribunale adito decideva di affidare i figli minorenni ai servizi sociali, incaricandoli di regolamentare le frequentazioni tra il genitore e la prole e di avviare interventi di supporto alla genitorialità.

La madre proponeva reclamo avverso il provvedimento del Giudice di prime cure domandando l’affidamento esclusivo dei figli e la sospensione dei rapporti tra il padre e la prole.

La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione della madre e confermava l’affidamento dei minorenni ai servizi sociali ritenendo, da un lato, che la madre avesse messo in atto un progressivo e cronico processo di denigrazione e di delegittimazione della figura paterna e, dall’altro lato, che sussistesse la totale incapacità di collaborazione tra i genitori con una radicale mancata accettazione del ruolo dell’altro genitore.

Avverso il provvedimento della Corte di Appello, la madre proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’omesso ascolto dei minori e il recepimento acritico da parte del Giudice di secondo grado della consulenza tecnica e della relazione del servizio sociale, entrambe focalizzate sui processi colpevolizzanti agiti nella cornice dell’alienazione parentale.

La Corte di Cassazione, all’esito di una imponente motivazione, accoglieva, nei sensi di cui in motivazione, le doglianze della ricorrente e, per l’effetto, cassava il provvedimento impugnato rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione per un nuovo esame della questione e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

La questione

L’ordinanza in commento pone una serie di interessanti questioni riguardanti il rito unico in materia familiare e minorile.

In primo luogo, ci si chiede se l’Autorità Giudiziaria procedente abbia l’onere di motivare le ragioni dell’omesso ascolto del minore infra-dodicenne anche nel caso in cui la parte non abbia richiesto di procedere all’audizione del minore e non abbia fornito indicazioni tali da ritenerlo in possesso della sufficiente capacità di discernimento.

In secondo luogo, ci si interroga sulla possibilità per il Giudice familiare di recepire acriticamente il risultato della consulenza tecnica di ufficio – anche laddove contenta la diagnosi di una patologia o di una anomalia personologica di uno o di entrambi i genitori – e, di conseguenza, di fondare la propria decisione unicamente su tale risultanza processuale.

Infine, l’ordinanza in commento, affrontando il tema della violenza domestica, si interroga sulla possibilità di ritenere insussistente, in sede civile, gli estremi della violenza domestica sulla base della valutazione operata dal giudice penale in relazione all’assenza di elementi tali che possano condurre all’affermazione della penale responsabilità del soggetto agente.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione affronta il tema dell’omesso ascolto del minore nell’ambito delle procedure familiari.

In particolare, ricostruita la centralità dell’audizione del minore e ribadito che esso «costituisce […] primario elemento di valutazione del miglior interesse del minore», ritiene che, nel caso in cui il minore coinvolto nella vicenda processuale abbia meno di dodici anni, l’obbligo del Giudice di motivare le ragioni per le quali non ritiene di dover provvedere all’ascolto sussiste solo in presenza di una istanza di parte che indichi gli argomenti ed i temi di approfondimento sui quali si ritiene necessario acquisire l’opinione del minore. Sul punto, la Cassazione chiarisce che i genitori non possono «confidare unicamente sull’esercizio dei poteri officiosi, astenendosi dal prendere una posizione in merito: i genitori sono i primi responsabili del benessere del minore e anche in tema di tutela processuale devono attivarsi affinché emergano i suoi interessi e le sue esigenze».

Pertanto, «la parte che non chieda l’ascolto del minore di età inferiore agli anni dodici, rappresentando le ragioni della richiesta, non può successivamente lamentarsi per la mancata attivazione dei poteri officiosi, né della omessa motivazione in merito all’ascolto, specie ove non emergano degli atti del giudizio altri elementi che possano orientare per un ascolto del minore anticipato rispetto alla età legale del discernimento. Inoltre, anche qualora l’ascolto sia stato richiesto, la richiesta deve essere assistita dalla allegazione di tutti gli elementi utili a valutare la effettiva e concreta capacità di discernimento del minore, allegazione che deve essere tanto più specifica quanto più l’età del minore si allontana da quella dei dodici anni»: da ciò deriva che, nel caso di minore infra-dodicenne, le parti hanno l’onere di attivarsi per richiedere l’ascolto del minore presentando una istanza debitamente motivata.

Chiariti i rapporti tra obbligo di motivazione ed omesso ascolto del minore infra-dodicenne, la Corte di cassazione si sofferma sul tema dell’acritico recepimento della consulenza tecnica d’ufficio, affermando che dalla diagnosi contenuta nella relazione del consulente non può derivare sic et simpliciter la valutazione di non idoneità del ruolo genitoriale.

In altre parole, le risultanze emergenti dalla consulenza tecnica d’ufficio - ancorché assumano la forma di una precisa diagnosi di una patologia o di una anomalia personologica - non possono essere utilizzate come unico elemento per fondare un giudizio de responsabilitate. Infatti, la Corte di cassazione afferma che «la valutazione della idoneità genitoriale non può prescindere in nessun caso dalla osservazione del comportamento» in quanto la diagnosi «può aiutare a comprendere le ragioni dei comportamenti e soprattutto a valutare se sono emendabili, ma non può da sola giustificare un giudizio - o pregiudizio - di non idoneità parentale a carico del genitore».

Da ciò deriva che l’approdo a cui giunge il consulente tecnico d’ufficio deve essere inserito «nel contesto della dinamica processuale in cui viene in rilievo la posizione di tutte le persone aventi diritto alla tutela della relazione familiare, non potendosi prescindere della osservazione e valutazione dei comportamenti tenuti dai genitori e dal figlio, e di tutti gli elementi che connotano la relazione familiare ai fini di accertare il miglior interesse del minore». Pertanto, il Giudice dovrà puntualmente indicare, nelle proprie motivazioni, le condotte assunte dai genitori ed i riflessi che queste hanno avuto sul benessere psico-fisico dei minori che, unitamente alla consulenza tecnica, possono rappresentare un quadro istruttorio idoneo a sorreggere una pronunzia limitativa o ablativa della responsabilità genitoriale.

La Corte di Cassazione, nel provvedimento in commento, affronta anche il tema delle allegazioni di violenza domestica, criticando il Giudice di secondo grado che aveva escluso la sussistenza di tale forma di violenza in ragione del fatto che le denunzie penali non avevano superato il vaglio dell’archiviazione.

Infatti, premessa la consapevolezza che per tutelare le vittime di tali abusi l’intervento penale e quello civile devono integrarsi, la Suprema Corte afferma che, benché il fatto oggettivo posto all’attenzione del Giudice penale e dell’Autorità Giudiziaria civile sia il medesimo, «diversa è però la valutazione dei fatti accertati perché il reato è un fatto tipico, di regola doloso, previsto da una norma di stretta interpretazione; l’illecito civile consiste in qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto e segnatamente, qualora si parli di danno non patrimoniale qualunque fatto che leda beni costituzionalmente protetti». Da tale diversità deriva che, «a fronte del medesimo fatto oggettivo, il giudice penale potrebbe assolvere o disporre una archiviazione della denuncia, mentre il giudice civile potrebbe ritenere sussistente un comportamento aggressivo e violento, rivelatore di non idoneità genitoriale».

Tale ricostruzione conduce la Corte di Cassazione a ribadire che la valutazione del Giudice civile non può ridursi in un acritico recepimento della valutazione operata in sede penale, ma deve risolversi in una valutazione autonoma che, sicuramente potrà tenere conto di quanto emerso in sede penale, ma dovrà anche fondarsi su quanto acquisito nell’ambito dell’istruttoria svolta nel processo civile, anche utilizzando i poteri officiosi di cui agli artt. 473-bis.2 e 473-bis.42 c.p.c.

Osservazioni

Il provvedimento in commento affronta il tema del rapporto tra l’obbligo di motivazione e l’omesso ascolto del minore infra-dodicenne in maniera che non appare, almeno a parere dello scrivente, convincente.

Infatti, la Corte di Cassazione ritiene che l’obbligo di motivazione in caso di mancato ascolto del minore infra-dodicenne di cui all’art. 473-bis.4 c.p.c. debba essere interpretato in senso restrittivo: solo nel caso in cui vi sia una richiesta motivata della parte, il Giudice, se ritiene di non procedere all’ascolto, dovrà motivare sul punto. Nella prospettazione della Suprema Corte, quindi, laddove non vi sia una richiesta di parte che sia in grado di allegare, non solo la sussistenza della capacità di discernimento del minore, ma anche gli argomenti ed i temi di approfondimento, l’omesso ascolto non dovrà essere motivato.

Tuttavia, tale linea interpretativa, da un lato, sposta l’onere di motivazione sul genitore - qualificato come il primo responsabile del benessere del minore e che non può astenersi dal prendere una posizione sull’ascolto del minore - e, dall’altro lato, non appare coerente con la struttura ed i principi del rito unico in materia familiare e minorile. Infatti, l’ascolto del minore è previsto al fine di garantire la possibilità per l’infra-diciottenne di esprime la propria opinione nell’ambito dei procedimenti che lo riguardano, tanto che si riconosce all’Autorità Giudiziaria procedente un ampio potere officioso, potendo quest’ultima procedere all’ascolto anche in assenza di una istanza di parte ed anche nel caso in cui le parti si mostrino contrarie all’audizione. L’obbligo di motivazione previsto dall’art. 473-bis.4 c.p.c. appare funzionale ad evitare che l’ascolto possa essere omesso per ragioni che non rispondono all’interesse del minore, riducendo il diritto del minore una mera dichiarazione di principio priva di una effettiva concretizzazione.

Rispetto al quadro normativa appena delineato, la linea di pensiero espressa dalla Suprema Corte nell’ordinanza in commento pare collocarsi in controtendenza: il Giudice - chiamato a tutelare e ricercare l’attuazione del best interest of the child - sarebbe esonerato dal motivare le ragioni che lo hanno indotto a non ascoltare il minore a fronte della inattività della parte. Di conseguenza, se le parti non richiedono l’audizione, il Giudice potrebbe omettere l’ascolto senza che vi sia evidenza, in motivazione, delle ragioni di una tale scelta processuale. Tuttavia, ciò contrasta sia con i poteri officiosi riconosciuti al giudice sia con il principio in forza del quale l’onere di valutare la necessità dell’ascolto e di garantire la centralità della posizione del minore spetta all’Autorità Giudiziaria procedente.

Benché l’ordinanza in commento risulti criticabile in relazione al principio di diritto espresso in tema di ascolto, il provvedimento della Suprema Corte appare apprezzabile sotto diversi aspetti.

In primo luogo, risulta condivisibile l’affermazione che vuole il Giudice della famiglia non un mero recettore delle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio.

L’approdo interpretativo si allinea all’idea che nei procedimenti latu sensu familiari «il compito del c.t.u. nell’ambito del diritto di famiglia non è quello di fornire una rigida previsione dei tempi di frequentazione, del collocamento o delle modalità di affidamento, ovvero decisioni di carattere giuridico rimesse all’esclusiva valutazione del giudice, quanto piuttosto quello di analizzare il nucleo familiare nella sua globalità, così da individuare eventuali situazioni di malessere dei minori o incapacità dei genitori tali da poter incidere negativamente sull’esercizio responsabilità genitoriale e/o sui tempi e le modalità di frequentazione tra genitori e figli» (Guidarelli, 208).

Pertanto, la consulenza tecnica d’ufficio, anche nel caso in cui sia in grado di formulare una diagnosi in relazione ai soggetti coinvolti nel procedimento familiare, non può tradursi automaticamente nel provvedimento giudiziale, ma rimane uno degli elementi che devono essere valutati dall’Autorità Giudiziaria procedente. La funzione della consulenza è quella di fornire una cornice di senso e di contesto al Giudice, il quale, anche in relazione alle risultanze provenienti dalle allegazioni delle parti, dall’audizione del minore e dall’attività istruttoria espletata, dovrà intervenire regolamentando la situazione familiare tentando di massimizzare l’interesse del minore.

In secondo luogo, anche la definizione dei rapporti tra giudizio civile e giudizio penale in relazione alla violenza domestica appare assolutamente condivisibile.

Infatti, si deve condividere l’approdo interpretativo della Corte di Cassazione secondo cui il Giudice civile, chiamato a valutare la sussistenza della violenza domestica, non può recepire acriticamente l’accertamento svolto in sede penale: il fatto oggettivo è il medesimo, ma i giudizi sono autonomi e gli accertamenti, benché in parte sovrapponibili, non sono necessariamente coincidenti, il bene tutelato dai procedimenti appare differente e gli standard probatori non sono i medesimi - nel processo civile, vale il criterio del più probabile che non; mentre nel processo penale il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio -.

Pertanto, il Giudice civile non può adagiare il proprio accertamento su quanto ritenuto in sede penale: dall’archiviazione della notitia criminis non si può automaticamente dedurre l’insussistenza, in sede civile, della violenza domestica così come dalla sentenza di condanna non deriva sic et simpliciter l’accertamento della violenza domestica. Da ciò deriva che eventuali provvedimenti assunti in sede penale potranno essere valutati dal Giudice civile come prova atipica.

Infine, l’ordinanza della Suprema Corte in commento appare apprezzabile anche in relazione ad un obiter dictum in relazione al curatore speciale del minore ove si afferma che in caso di affidamento del minore, «giustificato dalla necessità di non potersi provvedere diversamente all’attuazione degli interessi morali e materiali del minore, necessita della nomina di un curatore speciale che ne curi gli interessi e il provvedimento deve evidenziare i compiti specifici attribuiti al predetto curatore e ai servizi sociali, i quali debbono svolgere la loro funzione nell’ambito esclusivo di quanto individuato nel provvedimento di nomina». In tal modo, i Giudici di legittimità ribadiscono il ruolo fondamentale del curatore speciale quale rappresentate del minore in caso di conflittualità dei genitori e di pregiudizio.

Riferimenti

Per l’approfondimento dei temi trattati si suggeriscono i seguenti testi:

Bertoli, L’ascolto della persona di età minore, in AA.VV., La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, a cura di C. Cecchella, Torino, 2023, 259 ss.;

Costabile, Il nuovo rito unitario, in AA.VV., Commentario sistematico al nuovo processo civile, a cura di Masoni, Milano, 2023, 416 ss.;

Danovi, Ascolto del minore, capacità di discernimento e obbligo di motivazione (tra presente e futuro), in Fam. e dir., 2022, 993 ss.;

Guidarelli, sub art. 473-bis.25 c.p.c., in AA.VV., Procedimenti relative alle persone, ai minorenni e alle famiglie. Commento ragionato, a cura di R. Donzelli e G. Savi, Milano, 2023, 206 ss.;

Velletti, Procedimenti con allegazione di violenza domestica o di genere, in AA.VV., La riforma del diritto di famiglia: il nuovo processo. Comento al d.lgs. 149/2022 e successive modifiche, a cura di R. Giordano e A. Simeone, Milano, 2023, 359 ss.

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