I limiti all’attività del consulente tecnico nell’ambito della CTU “percipiente”

Stefano Cera
22 Aprile 2025

Quali sono i limiti di azione del CTU nell’espletamento dell’incarico? Può il consulente nominato, per poter rispondere al quesito, acquisire documentazione probatoria sulla quale basare il proprio elaborato se tale documentazione non è già presente in atti?

Massima

In materia di consulenza tecnica d'ufficio il CTU, nei limiti concessi dal giudice nella formulazione del quesito e osservando il principio del contraddittorio tra le parti, può acquisire, nell'esercizio dell'incarico, i documenti necessari all'adempimento di quanto richiesto per la risposta ai quesiti formulati, qualora le parti avessero richiesto tali documenti ai sensi dell'art. 210 c.p.c., e ciò al fine di provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eventuali eccezioni, che le parti restano onerate a provare, senza che tale attività incorra nella sanzione da nullità relativa prevista dall'art. 157 c.p.c.

Il caso

Tizio e Caia, in costanza di matrimonio, acquistavano in regime legale di comunione dei beni alcuni immobili; dopo alcuni anni dalla separazione (e dunque dal conseguente scioglimento della comunione matrimoniale) Caia chiedeva a Tizio una rendicontazione delle rendite derivanti dalle suddette proprietà, rimaste nella disponibilità di quest’ultimo, per verificare se le stesse avessero prodotto frutti derivanti da locazione o da qualsivoglia altro titolo. Il mandato accordo tra le parti circa l’an ed il quantum debeatur, determinava l’inizio di una vertenza, nel corso della quale il tribunale adito disponeva CTU diretta ad accertare l’eventuale messa a reddito dei cespiti, con determinazione delle somme eventualmente percepite a tale titolo da Tizio.

Espletata la CTU la difesa di Tizio eccepiva al consulente di aver acquisito documentazione probatoria accedendo presso l’Agenzia delle Entrate per reperire copia degli atti di proprietà dei beni e dei contratti di locazione relativi ai medesimi, sostenendo che tali prove dovevano già essere state fornite dall’attrice Caia.

Il giudice di prime cure, ritenendo che Tizio non avesse effettivamente rendicontato l’entità dei frutti percepiti dai beni comuni a Caia, lo condannava al pagamento delle somme indebitamente trattenute.

La Corte d’Appello adita, invece, nel giudizio di gravame promosso da Tizio, riformando totalmente la sentenza del Tribunale, riteneva non provato l’incasso delle somme da parte dell’appellante, ed accoglieva i motivi di impugnazione proposti da Tizio. Il giudice del gravame riteneva infatti che l’onere della prova non fosse stato assolto da Caia, essendo stato il consulente nominato a procedere all’istruzione della vertenza.

Caia ricorreva dunque in Cassazione, sostenendo che la sentenza di secondo grado fosse errata nella parte in cui riteneva la propria domanda priva di riscontri probatori.

Sosteneva l’appellante che il giudice del gravame avesse applicato ai poteri del CTU una interpretazione troppo restrittiva, errando nel ritenere che il comportamento del consulente avesse superato i limiti del mandato conferito.

La questione

La questione di maggior rilievo posta dalla ricorrente nel giudizio di legittimità è la seguente: quali sono i limiti di azione del CTU nell’espletamento dell’incarico? Può il consulente nominato, per poter rispondere al quesito, acquisire documentazione probatoria sulla quale basare il proprio elaborato se tale documentazione non è già presente in atti?

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in esame la Corte di cassazione, nell'accogliere il ricorso di Caia, determina con precisione quali siano i confini operativi che il consulente tecnico è tenuto a seguire nell'espletamento dell'incarico conferito.

L'analisi della Suprema Corte parte dalla differenza che il giudice d'appello pone tra CTU deducente e CTU percipiente.

Come noto, la consulenza tecnica è da considerarsi deducente, quando il CTU deve valutare i fatti già accertati dal giudice o quelli pacifici tra le parti, mentre è percipiente allorché il medesimo debba accertare delle situazioni di fatto, non dimostrate in giudizio, che sono accertabili solo tramite cognizioni tecniche.

La Corte d'Appello aveva ritenuto l'elaborato deducente, e dunque limitato i poteri del consulente all'esame della documentazione già prodotta dalle parti, mentre il CTU si era spinto ad acquisire altri documenti, superando dunque i limiti del proprio mandato.

La Suprema Corte, cassando la sentenza d'appello, puntualizzava il principio di diritto alla base della propria decisione, ispirata ad una precedente decisione delle Sezioni Unite del 2022.

Secondo Cass. sez. un. 3086/2022, infatti “il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio" e che "l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, o l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti, è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso".

Nel caso di specie, continua la Corte nella propria motivazione, le ragioni poste a fondamento della domanda erano state chiaramente formulate dall'attrice, la quale aveva richiesto la documentazione (poi acquisita dal CTU)  ex art 210 c.p.c., adempiendo dunque all'onere probatorio posto a suo carico dal codice di rito.

Era poi il Tribunale che, senza procedere all'acquisizione della suddetta documentazione richiesta dall'attrice, disponeva la CTU, la quale, a quel punto, non poteva che avere natura percipiente, dovendo la stessa espletarsi su documentazione richiesta ritualmente ma non presente in atti.

L'azione del CTU dunque, continua la Corte, non merita censura perché essa non è stata esorbitante rispetto ai limiti dell'incarico conferito, ma essa è stata CTU percipiente a fronte della tempestiva richiesta di documentazione formulata dall'attrice.

Il Consulente tecnico, infatti, per rispondere al quesito formulato, rispettando il contraddittorio tra le parti, può certamente acquisire in atti ulteriore documentazione, purchè la stessa sia necessaria ai fini dell'adempimento dell'incarico e che (come nel caso in esame) sia acquisita in quanto già oggetto di apposita istanza da parte del soggetto interessato, istanza da presentare nei limiti delle decadenze previste dal codice di rito.

La sentenza d'appello è stata conseguentemente cassata, con rinvio ad altra sezione per il riesame delle risultanze istruttorie alla luce dei principi di diritto enunciati dalla Corte di legittimità.

Osservazioni

La sentenza in esame affronta la problematica dei poteri e dei limiti dell'azione del consulente tecnico d'ufficio nell'espletamento dell'incarico conferito dal giudice.

Come noto, la consulenza tecnica è un mezzo per la valutazione delle prove che il giudice dispone quando, causa la specificità della materia che richiede particolari capacità tecniche, egli non è in grado di valutare, con la sua sola professionalità, l'incidenza delle prove dedotte dalle parti rispetto alla definizione della vertenza.

L'azione del consulente, disciplinata dagli artt. 61,62 e 194 c.p.c. (che nel definiscono l'ambito operativo) non può avere carattere esplorativo, cioè non può servire per colmare le lacune probatorie della parte su cui grava l'onere probatorio; peraltro lo stesso giudice non può predisporre indagini tecniche a solo scopo esplorativo (v.  Cass. civ., sez. III, 7 settembre 2023, n. 26048).

È dunque necessario comprendere quali siano i limiti di operatività dell'incarico del consulente, alla luce delle norme del codice di rito richiamate e dei principi espressi a riguardo dalla giurisprudenza delle sezioni unite (v. sez. un cit.).

A tale proposito la sentenza in esame richiama le definizioni di CTU deducente e CTU percipiente.

La CTU è definita deducente quando il consulente è chiamato alla valutazione tecnica di fatti accertati dal giudice e dedotti dalle parti; in tale caso, dunque, la perizia riguarda prove già esistenti, rispetto alle quali è richiesto al perito di dare una valutazione tecnica (es esame di cartelle cliniche ai fini della quantificazione del danno biologico).

La consulenza, però, può certamente però essere anche percipiente, ciò avviene quando al consulente tecnico viene anche conferito un incarico di accertamento dei fatti.

Per comprendere meglio la differenza tra CTU esplorativa (inammissibile) e CTU percipiente (ammissibile) è opportuno analizzare l'applicazione pratica compiuta dalla giurisprudenza, richiamando alcune pronunce di merito e di legittimità che ne hanno definito i limiti.

Secondo Trib. Bologna 31 luglio 2024 n. 2228 “La materia della responsabilità medica è molto tecnica e, come tale, richiede delle conoscenze specialistiche non solo per la comprensione dei fatti, ma anche per la loro stessa rilevabilità. Per tale motivo la consulenza tecnica d'ufficio, in tale ambito, può avere natura 'percipiente', sicché il giudice ben può affidare al perito non solo l'incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti stessi, facendo della consulenza una vera e propria fonte oggettiva di prova” (sul punto v. anche Trib. Palermo 23 luglio 2021, n. 3137)

Dello stesso tenore la Suprema Corte (Cass. civ. sez. lav. 09 maggio 2023 n. 12348), la quale ha ritenuto possibile per il perito acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti a provare i fatti principali posti a fondamento della domanda (principio che troviamo anche in App. Roma 16 febbraio 2021 n. 1162; secondo il collegio capitolino la consulenza tecnica d'ufficio non è un mezzo di prova in senso proprio, ma è finalizzata ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni particolarmente tecniche; per tale motivo il giudice può affidare al perito l'incarico di accertamento dei fatti).

Il limite della consulenza percipiente è rappresentato dall'onere della prova, che resta sempre a carico della parte, la quale non può cento essere esonerata dalle necessarie allegazioni. La CTU dunque può non essere concessa qualora lo scopo della stessa divenga quello di supplire alle lacune probatorie delle parti (v. Cass. civ. sez. VI, 30 ottobre 2019, n. 27776; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Latina 02 agosto 2021 n. 1529).

Tali principi sono esplicitati anche da App. Brescia, 01 marzo 2019, n. 374, secondo la quale “Le parti non possono sottrarsi all'onere di allegazione e di prova e rimettere l'accertamento del fatto costitutivo della propria domanda all'attività del consulente, neppure nel caso di consulenza tecnica d'ufficio cosiddetta percipiente, posto che, anche in tale ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento della propria domanda”.

Da quanto esposto possiamo sostenere che, se è possibile affermare che la consulenza possa costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, ciò non significa che le parti possano sottrarsi all'onere probatorio posto a loro carico, rimettendo completamente l'accertamento dei fatti e dei diritti della vertenza all'opera del consulente.

Resterà sempre onere delle parti dedurre i fatti che esse pongono a fondamento del proprio diritto, mentre la valutazione del CTU dovrà riguardarne gli aspetti tecnici (v. Cass. civ. sez. III, 14 marzo 2016 n. 4899).

Nel caso in commento la Corte di cassazione ha correttamente affermato che, pur essendo la CTU ammessa di natura percipiente, l'acquisizione della documentazione probatoria compiuta dal perito rispondeva ad una richiesta exart 201 c.p.c. in precedenza formulata dall'attrice, richiesta alla quale il giudice di prime cure non aveva dato seguito.

Le parti, dunque, avevano correttamente adempiuto al proprio onere probatorio, demandando poi il giudice di prime cure l'acquisizione della prova al CTU, nel pieno rispetto dei principi summenzionati.

Riferimenti

Marcella Ferrari, Poteri del CTU e nullità della perizia, in Altalex, 14 febbraio 2022

Roberto Nannelli, I poteri del CTU nel processo civile, atti Fondazione Forense Firenze 2024 (www.fondazioneforensefirenze.it)

Quaderni di approfondimento della commissione studi CTU, ODEC Ravenna, 2022

I limiti di ammissibilità della CTU percipiente, in Giurisprudenzamodenese.it, 18 gennaio 2024

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