Il termine di decadenza si applica al custode giudiziario?

La Redazione
10 Giugno 2025

Con ordinanza 4 giugno 2025, n. 15046, la prima sezione civile ha disposto la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente per valutare l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione concernente l’applicabilità del termine di decadenza ex art. 71, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 al custode giudiziario. 

La fattispecie che ha dato origine alla rimessione alle Sezioni Unite riguardava un ricorso per cassazione con il quale il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 71, 72, e 178 d.P.R. n. 115/2002 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., laddove il Tribunale di Locri aveva ritenuto inapplicabile il termine di decadenza di 100 giorni alla liquidazione del compenso del custode nominato dal giudice penale.

Per il ricorrente l’ordinanza doveva essere cassata in quanto aveva erroneamente ritenuto inapplicabile il termine di decadenza di cui all’art. 71 del d.P.R. n. 115/2002 alla figura del custode giudiziario, invocando un orientamento della giurisprudenza di legittimità, formatosi in sede penale, non condivisibile. Ad avviso del ricorrente, infatti, il termine di decadenza di 100 giorni dal compimento delle operazioni troverebbe pacificamente applicazione anche al custode nominato dal giudice penale, e quindi anche per l’ipotesi di cui all’art. 72 del d.P.R. n. 115/2002, dovendo il custode rientrare «nell’ambito della figura degli ausiliari del giudice», non potendosi operare alcun distinguo tra le funzioni svolte in sede penale e quelle espletate nell’ambito di un procedimento civile.

Tanto premesso, la prima sezione rimettente richiama le contrastanti tesi sul tema. La tesi restrittiva, che confina la decadenza agli ausiliari del giudice con esclusione del custode, si fonda soprattutto sulla evoluzione storica delle disposizioni in materia, nelle quali non vi sarebbe alcun riferimento al «custode giudiziario». Essa evidenzia che il d.P.R. n. 115/2002 aveva l'esclusivo mandato di coordinare ed armonizzare la legislazione previgente, sicché «in alcun modo, le norme del testo unico possono introdurre nuovi istituti o essere interpretate nel senso di apportare apprezzabili modifiche in tema di soggetti, quali la previsione di una decadenza non stabilite dalla normativa» (Cass. pen. n. 6715/2005).

Quanto all’opposta tesi estensiva, favorevole all’applicazione della decadenza anche al custode giudiziario, questo orientamento si fonda su due ordinanze della Corte, in sede civile (Cass. civ. n. 21482/2019; Cass. civ. n. 24652/2023) favorevoli all’applicazione della decadenza anche per il custode, per cui «il compenso del custode è quindi oggetto di una previsione ad hoc (art. 72) che, pur non prevedendo termini di decadenza, non va isolata dall’intero contesto del testo unico e che, comunque, non offre elementi per ravvisare una reale diversità di disciplina».

In motivazione i giudici sottolineano che la tesi favorevole alla estensione del termine di decadenza al custode si fonda sulla costante giurisprudenza della Corte. Peraltro, dall’esame delle pronunce emergono delle peculiarità che non sembrano deporre in modo univoco per tale perfetta equiparazione. Si è, infatti, affermato che il custode nominato ai sensi degli artt. 2-sexies e 2-septies della legge n. 575/1965 (nel testo applicabile “ratione temporis”), per la natura stessa dell'attività che gli è demandata dal giudice e che si concreta nella custodia, nella conservazione e nell’amministrazione dei beni sequestrati sotto il diretto controllo del giudice, rientra nella categoria degli ausiliari di quest’ultimo e, pertanto, la relativa richiesta di liquidazione del compenso per l’opera prestata è assoggettata al termine di decadenza previsto dall’art. 71 del d.P.R. n. 115/2002 (Cass. civ. n. 11577/2017). Ma in questo caso è convincente l’applicazione della disciplina di cui all’art. 71 del d.P.R. n. 115/2002, trattandosi di custodia relativa all’amministrazione di beni, e non di mera custodia passiva, per la quale potrebbe restare applicabile l’art. 72 del medesimo d.P.R.  

In altra fattispecie la giurisprudenza ha semplicemente evidenziato che il custode del sequestro esercita una pubblica funzione in quanto ausiliare del giudice (Cass. civ. n. 1406/1971), risultando neutra ai fini della soluzione della controversia in oggetto.  Inoltre, il custode, quale organo ausiliario del giudice nel procedimento sequestro giudiziario, non è legittimato a proporre l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi riguardanti provvedimenti emessi nel giudizio in cui sia stato nominato, dovendosi egli uniformare semplicemente ai criteri e ai limiti fissati dal giudice per la conservazione e l’amministrazione dei beni sequestrati (Cass. civ. n. 4348/1979). Si era nell’ambito di una custodia giudiziaria relativa a beni ereditari; di specie ben diversa da quella della custodia giudiziaria di auto sequestrate.

Di valore meramente processuale è la sentenza per cui nella controversia in cui sia stato disposto il sequestro giudiziario, la necessità dell’integrazione del contraddittorio non è configurabile in relazione al custode dei beni sequestrati, che non ha la qualità di parte, bensì di ausiliario del giudice (Cass. civ. n. 3544/1983).

Sempre sotto il profilo processuale, si è ritenuto che il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto rappresentante di ufficio, nella sua qualità di ausiliario del giudice, di un patrimonio separato, costituente centro d’imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, risponde direttamente degli atti compiuti in siffatta veste, quand’anche in esecuzione dei provvedimenti del giudice ai sensi dell’art. 676 c.p.c.; è dunque legittimato a stare in giudizio attivamente e passivamente, ma solo limitatamente alle azioni relative a tali rapporti, attinenti alla custodia ed amministrazione dei beni sequestrati (Cass. civ. n. 10252/2002; anche Cass. civ. n. 8483/2013).

Ancora dal punto dei poteri spettanti al custode sequestratario, si è ritenuto che il custode sequestratario giudiziario vada qualificato come ausiliario del giudice, da cui ripete l’investitura, oltre ai poteri e sotto la cui direzione e controllo opera e può compiere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione; l’attribuzione a tale custode di tali poteri, in vista del perseguimento delle finalità proprie del suo ufficio, presuppone lo spossessamento anche del creditore pignoratizio, il cui diritto di prelazione, che rappresenta il contenuto del diritto di pegno, non può essere esercitato ove privo di oggetto (Cass. civ. n. 22860/2007).

Nuovamente sotto il profilo processuale si chiarisce che la liquidazione del compenso spettante al custode dei beni sequestrati può essere richiesta con autonoma domanda dal custode stesso, in quanto ausiliario del giudice, nei confronti della parte che abbia richiesto ed ottenuto il provvedimento di sequestro, qualora nella fase cautelare non si sia provveduto a tale adempimento (Cass. civ. n. 5084/2010).

Neppure risolutiva sembrerebbe la pronuncia per cui il custode di cose sequestrate opera esclusivamente per conto del giudice al cui controllo è sottoposto come ausiliare e, perciò, la sua posizione è nettamente distinta da quella, eventualmente rivestita, di dipendente subordinato di un terzo (Cass. civ.  n. 6115/1984).

Alla luce delle precedenti argomentazioni, stante la sussistenza del contrasto fra sezioni civili e penali, nonché per la trasversalità civile/penale della materia, la sezione rimettente ha ritenuto opportuno trasmettere gli atti alla Prima Presidente per valutare l’opportunità di rimessione alle Sezioni Unite.

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