Macroleso tra danno patrimoniale futuro e incapacità lavorativa

11 Giugno 2025

L’approfondimento riguarda il risarcimento del danno patrimoniale futuro derivante da perdita della capacità lavorativa, in particolare in presenza di un danneggiato macroleso.

Occorre individuare e quantificare tale tipo di danno, talvolta non facile in presenza di persone in condizioni particolari (si pensi al minore di età oppure al disoccupato o alla casalinga), ponendosi la questione di allegare e provare il danno futuro e l’acquisizione, perduta, di future posizioni lavorative redditizie.

Caso e questione

Il presente approfondimento nasce da un caso pratico, già annotato (Danno patrimoniale per assistenza a paraplegico e assistenza (gratuita?) dei familiari, nota a Cass n. 20661/2024).

In quella sede veniva in particolare considerazione il danno patrimoniale per spese di assistenza in favore di persona affetta da paraplegia necessitante di assistenza continua. Si trattava di un adolescente rimasto paraplegico con un’invalidità accertata dell’85% a seguito di un sinistro stradale.

Oggi interessa approfondirne l’altro aspetto della sentenza con un focus dedicato, ossia il tema generale del risarcimento del danno da menomazione della capacità lavorativa specifica, non fosse altro che la Suprema Corte aveva duramente cassato le decisioni di merito che avevano negato tale risarcimento, a dimostrazione che il tema è terreno “incerto” e degno di approfondimento.

Ci interessa l’aspetto del danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita della capacità di guadagno

Prima ipotesi. Danno patrimoniale futuro da invalidità lavorativa in generale

La questione del risarcimento del danno patrimoniale futuro da invalidità lavorativa generica e specifica può assumere diverse sfumature a seconda che venga in considerazione un lavoratore, una persona che mai è stata percettore di reddito, oppure una persona al momento disoccupata (v. amplius, D. Spera, “Responsabilità civile e danno alla persona”, pagg. 511 e ss., Giuffrè Francis Lefebvre, 2025). 

Stante anche il mutamento del mondo del lavoro con una maggior precarizzazione dei rapporti lavorativi, piuttosto che la perdita involontaria del lavoro, il tema presenta un rilevante interesse pratico.

È interessante considerare tre profili:

  1. danno patrimoniale futuro da invalidità lavorativa in generale;
  2. danno da lesione della capacità di guadagno di soggetto che al momento del fatto illecito non svolgeva attività lavorativa;
  3. danno da incapacità lavorativa specifica in caso di danneggiato disoccupato.

Iniziamo con la prima ipotesi, ossia il danno futuro da invalidità lavorativa.

In termini generali la Supr. Corte afferma costantemente che, se l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il danno conseguente, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo di tale perdita patrimoniale, liquidando tale in via equitativa.

Così, tra riduzione della capacità lavorativa generica e specifica, si distingue tra danno biologico e danno patrimoniale.

In tema di danni alla persona, l'invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, danno che, ove accertato sulla base delle prove, anche presuntive, offerte dal danneggiato, va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (Cassazione civile sez. III, 15/09/2023, n.26641; Cassazione civile sez. III, 12/07/2023, n.19922; Cassazione civile sez. VI, 14/11/2017, n. 26850).

Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga una attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'an dell'esistenza del danno, mentre ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all'articolo 1226 del c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto sia diminuito (Cassazione civile sez. III, 25/07/2023, n.22360).

Dunque tale danno può essere liquidato attraverso il ricorso alla prova presuntiva e non può essere riconosciuto in via automatica sulla mera base della elevata percentuale di invalidità permanente, richiedendosi in ogni caso la prospettazione di elementi utili ad un giudizio prognostico presuntivo (Cassazione civile sez. III, 12/07/2023, n. 19922; Cassazione civile sez. III, 06/03/2014, n. 5249).

In caso di rapporto lavorativo in atto al momento dell'evento dannoso, il reddito perduto dalla vittima (recte, le retribuzioni, comprensive di tutti gli elementi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici, che essa avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base allo specifico rapporto di lavoro perduto) costituisce la base di calcolo per la quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, la quale, peraltro, deve tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere, seppur con accresciute difficoltà (il cui peso deve essere adeguatamente considerato), un'altra attività lavorativa retribuita. Questo danno, in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'art. 1223 cod. civ., deve essere pertanto liquidato moltiplicando il reddito perduto  per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione affidabili, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano (Cassazione civile sez. III, 16/02/2024, n.4289).

Seconda ipotesi. Danno da lesione della capacità di guadagno di soggetto che al momento del fatto illecito non svolgeva attività lavorativa (il minore di età o la casalinga)

Se in generale la questione appena vista può sembrare chiara, quid iuris nel caso l'invalidità riguardi una persona che non percepisce reddito?

La casistica può essere ampia: non vi è solo il minore d'età, ma anche, ad esempio, la casalinga.

Tale danno può, se del caso, riconoscersi, potendo escludersi il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno collegato all'invalidità permanente che proiettandosi nel futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima (Cassazione civile sez. III, 15/09/2023, n.26641).

Come vedremo, oltre al profilo probatorio, si pone la questione dei diversi criteri di quantificazione del danno.

In generale, il danno da lesione della capacità di guadagno, derivante dall'invalidità permanente parziale causata a una persona che, al momento del fatto illecito, non svolgeva alcuna attività lavorativa, deve essere liquidato prendendo, quale base reddituale, quella corrispondente all'attività lavorativa che il danneggiato, se non fosse intervenuto l'evento dannoso, avrebbe presumibilmente esercitato in futuro, tenuto conto della sua posizione economica e sociale e di quella della sua famiglia, delle correlative possibilità di scelta secondo l'id quod plerumque accidit, del tipo di studi intrapresi e degli esiti raggiunti. (In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva parametrato la liquidazione del danno subito da una persona che aveva conseguito il diploma in geometria e che si era iscritta al relativo esame di abilitazione, al reddito medio di un geometra abilitato alla professione, rilevando che la concreta individuazione di un reddito di lavoro a cui il danneggiato possa ragionevolmente aspirare esclude il ricorso al criterio residuale del triplo della pensione sociale di cui all'art. 137 c.ass.): Cassazione civile sez. III, 04/03/2024, n.5787; Corte appello Ancona, 29/10/2019, n.1542.

Il risarcimento del danno patrimoniale futuro, ove il danneggiato sia un minore, non può consistere nella incapacità lavorativa specifica, ma solo nella lesione della capacità lavorativa generica e richiede necessariamente una valutazione prognostica. Tale pregiudizio, pertanto, potrà essere risarcito se possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito Inferiore a quello che avrebbe diversamente conseguito ove non fosse rimasta vittima dell'infortunio. La relativa prognosi deve avvenire, in primo luogo, in base agli studi compiuti e alle inclinazioni manifestate dalla vittima.

In secondo luogo, la prognosi dovrà avvenire sulla base della condizione economico-sociale della famiglia.

Il danno da definitiva e totale perdita della capacità di lavoro, a carico di soggetto che non è mai stato percettore di reddito, va risarcito a titolo di danno patrimoniale futuro, pur non potendosi fare riferimento alla capacità di lavoro specifica, e non (soltanto) di danno biologico e può essere liquidato, in assenza di un ragionevole parametro di riferimento, con il criterio, residuale, del triplo della pensione sociale. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ricondotto il danno da lesione della capacità lavorativa generica (totale) al danno biologico, rigettando la domanda di risarcimento del danno patrimoniale svolta da soggetto che aveva riportato sin dalla nascita un'invalidità permanente irreversibile pari al 100%): Cassazione civile sez. III, 13/06/2023, n. 16844.

Il giudice, con giudizio prognostico fondato su basi probabilistiche, deve valutare se e in che misura i postumi permanenti ridurranno la futura capacità di guadagno di detta persona, tenendo conto

  • in primo luogo della percentuale di invalidità medicalmente accertata, della natura e qualità dei postumi stessi, dell'orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività redditizia, degli studi da lui portati a termine, dell'educazione ricevuta dalla famiglia nonché delle presumibili opportunità di lavoro che si presenteranno al danneggiato anche in relazione al prevedibile futuro mercato del lavoro;
  • e in secondo luogo della posizione sociale ed economica di quest'ultima, nonché di ogni altra circostanza rilevante. In assenza di riscontri concreti dai quali desumere gli elementi suddetti, la liquidazione potrà avvenire attraverso il ricorso al triplo della pensione sociale (Cassazione civile sez. III, 30/09/2009, n. 20943).

Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, in quanto non sono emerse risultanze istruttorie idonee a costituire valide basi per la valutazione stessa, può ricorrere, sempre in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l'una o l'altra ipotesi costituisce un giudizio tipicamente di merito, ed è pertanto insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata (Cassazione civile sez. III, 30/09/2008, n. 24331; Cassazione civile sez. III, 30/09/2009, n. 20943).

Da quanto esposto circa l'onere probatorio, pone l'attenzione sul fatto che l'accertata esistenza di postumi, anche di rilevante entità, non comporta l'automatica riduzione della capacità lavorativa specifica e, quindi, della capacità di guadagno. Occorre un accertamento in concreto, effettuato sulla base delle allegazioni e delle prove offerte dalla parte danneggiata, che può avvalersi - soprattutto nel caso di minore non ancora introdotto nell'attività lavorativa - della prova presuntiva. Ecco la valutazione su base prognostica e il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici (Cassazione civile sez. III, 06/03/2014, n. 5249; Cassazione civile sez. III, 07/11/2005, n. 21497).

Riassumendo, il danno da riduzione della capacità di guadagno subito da un minore in età scolare, in conseguenza della lesione dell'integrità psico-fisica, può essere valutato attraverso il ricorso alla prova presuntiva allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro il danneggiato percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'evento lesivo, tenendo conto delle condizioni economico-sociali del danneggiato e della sua famiglia e di ogni altra circostanza del caso concreto. Ne consegue che ove l'elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno ad essa conseguente, il giudice può accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima e procedere alla sua valutazione in via equitativa, pur in assenza di concreti riscontri dai quali desumere i suddetti elementi. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia con la quale il giudice di merito aveva ritenuto insussistente la prova del danno alla capacità di produrre reddito di un minore in età scolare che aveva subìto gravissime lesioni alla nascita dalle quali gli era derivata un'invalidità permanente pari al 52%): Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n. 11750; Cassazione civile sez. III, 23/08/2011, n. 17514; Cassazione civile sez. III, 27/04/2010, n. 10074; Cassazione civile sez. III, 30/09/2009, n. 20943; Cassazione civile sez. III, 07/11/2005, n. 21497).

Con specifico riguardo al caso della casalinga, occorre anche prestare attenzione alla formulazione della domanda risarcitoria (v. D. Spera, “Responsabilità civile e danno alla persona”, cit., pagg. 711 e ss.). 

Infatti, il risarcimento integrale del danno patrimoniale alla casalinga è incompatibile con il risarcimento del danno da incapacità lavorativa futura diversa dall'attività di casalinga, verificandosi altrimenti una sovra-compensazione con una duplicazione del danno.

Tale considerazione deve confrontarsi con almeno due eccezioni:

  • il caso di lavoro part-time, considerando la diminuita possibilità di esercitare un'attività lavorativa part-time con la diminuita attività di casalinga part-time;
  • l'avvio di un serio e concreto inserimento lavorativo, da dimostrare, sia pure part-time.

Tale prova deve essere rigorosa, per evitare le duplicazioni risarcitorie.

Terza ipotesi. Danno da incapacità lavorativa specifica in caso di danneggiato disoccupato

Infine, vi è il caso del “disoccupato”, che, in realtà, si può considerare una specificazione di quanto già visto.

In tema di danni alla persona, in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'art. 1223 c.c., il danno da perdita della capacità lavorativa specifica deve essere liquidato - ferma restando l'esigenza di tener conto anche della persistente, benché ridotta, capacità di reperire e mantenere altra occupazione retribuita - in base al reddito che il danneggiato avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento, sia nell'ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro in atto al tempo dell'evento dannoso, sia in quella di stato di disoccupazione, purché questa sia involontaria e incolpevole, nonché temporanea e contingente, e sussista ragionevole certezza o positiva dimostrazione che lo stesso danneggiato, se rimasto sano, avrebbe intrapreso un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività o altra confacente al proprio profilo professionale (Cassazione civile sez. III, 16/02/2024, n. 4289; si veda anche Cassazione civile sez. III, 15/09/2023, n. 26641).

In caso di assenza del presupposto della specifica attualità del rapporto di lavoro al momento dell'illecito, assume rilievo che:

  1. lo stato di disoccupazione, oltre a non dipendere dalla volontà o dalla colpa del lavoratore (bensì da vicende incolpevoli riguardanti la sua persona o da vicende oggettive di impresa),
  2. sia contingente e temporaneo, sussistendo la ragionevole certezza o addirittura la positiva dimostrazione che, se non vi fosse stato l'illecito, il danneggiato avrebbe ripreso lo svolgimento della medesima attività lavorativa o comunque di un'attività confacente alle sue attitudini, idonea a produrre lo stesso reddito.

Comunque può individuarsi la ragionevole certezza – se non la positiva dimostrazione – che lo stato di disoccupazione sarebbe cessato, con ripresa della medesima attività lavorativa, ove non vi fosse stato l'illecito, per avere ricevuto una proposta di assunzione, in concomitanza con la cessazione del trattamento di disoccupazione.

Meriti del danneggiato e governo delle presunzioni

Se in astratto la questione, per quanto complessa, può sembrare delineata a sufficienza, in concreto si trovano ancora contrasti di valutazione.

Supponiamo che il danneggiato sia un minore di età e, pur reso paraplegico, ha continuato gli studi con proficuo.

Vi è un danno?

Nel caso concreto sopra richiamato (Cass n. 20661/2024, Danno patrimoniale per assistenza a paraplegico e assistenza (gratuita?) dei familiari), i giudici di merito avevano escluso l'esistenza di un danno da perdita della capacità di guadagno, affermando che:

  • nulla impedisce al sedicenne divenuto paraplegico di proseguire i propri studi, per conseguire gli stessi titoli abilitativi all'esercizio della professione che avrebbe potuto svolgere in assenza della lesione;
  • non risultano allegati elementi dai quali desumere che il danno patito abbia ostacolato la prosecuzione degli studi, dovendosi ritenere il contrario nel caso concreto, perché l'adolescente, nonostante l'invalidità, ha conseguito un'adeguata professionalità con inserimento in ambito lavorativo, dopo aver portato a termine gli studi di livello superiore e che ben avrebbe potuto affrontare anche un corso universitario.

Al di là delle valutazioni sul piano umano, dal punto di vista giuridico la soluzione non è accettabile.

Infatti, la Suprema Cote ha recisamente cassato la decisione.

Tale argomentare, per la Suprema Corte, è errato, perché illogico e lesivo del principio di cui all'art. 2729 c.c. nella parte in cui governa il valore rappresentativo delle presunzioni in maniera palesemente infedele rispetto alla necessità della loro gravità, precisione e concordanza).

Il fatto di aver portato a termine gli studi superiori non giustifica la conclusione del fatto ignoto “assenza di danno”, in presenza dell'altro fatto noto “macrolesione”.

Danno da perdita di chance e danno da incapacità lavorativa specifica

Come già detto, in tema di danni alla persona, si distingue il danno da incapacità lavorativa specifica dal danno da perdita di chance derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica.

La riduzione della capacità lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in un danno alla persona, in quanto lesione di un'attitudine o di un modo d'essere del soggetto in una menomazione dell'integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico. Il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica è viceversa generalmente ricondotto nell'ambito del danno patrimoniale, precisandosi peraltro che l'accertamento dell'esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l'automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso provare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso.

Al danneggiato vanno risarciti non solo i danni patrimoniali da incapacità lavorativa specifica, ma anche i danni eventuali patrimoniali ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità, affettante il danneggiato non consenta al medesimo la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito. In tale ipotesi l'invalidità si riflette comunque in una riduzione o perdita della capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante.

Occorre differenziare il danno patrimoniale futuro, risarcibile ove si dia la prova della certezza del suo verificarsi, dal danno da perdita di chance, di cui non è possibile fornire una prova certa del suo avverarsi, trattandosi della perdita di una mera probabilità di lavoro non connotata da assoluta certezza, ma come concreta occasione di ottenere un lavoro (Cass. civ., 28 gennaio 2005, n. 1752; Cass. civ., 28 settembre 2005, n. 18953; Cass. civ., 18 marzo 2003, n. 1288).

Il criterio è, quindi, prognostico, basato sulle concrete e ragionevoli possibilità di risultati utili, assumendo, quale parametro di valutazione il vantaggio economico complessivamente realizzabile dal danneggiato, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionale al grado di possibilità di conseguirlo, o in base a criteri equitativi (art. 1226 c.c.).

Il rischio è che il concetto di perdita di chance diventi “evanescente”. La chance deve effettivamente aver raggiunto un'apprezzabile consistenza, di solito indicata dalle formule «probabilità seria e concreta» o anche «elevata probabilità», di conseguire il bene della vita sperato.

In conclusione

Concludendo, nel caso di invalidità rientrante nell'ambito delle macropermanenti, può operare la presunzione semplice di riduzione della capacità lavorativa in genere, non potendosi escludere la capacità lavorativa specifica, in base alle condizioni personali della vittima (età, titolo di studio, etc.), che la stessa in futuro avrebbe potuto intraprendere un'attività lavorativa.

L'accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di « chance » esige la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.

Non è questa la sede per affrontare il tema del danno da perdita di chance, che solo si accenna e che può essere oggetto di separato approfondimento.

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