L'abusivo frazionamento del credito tra improponibilità della domanda e condanna del creditore alle spese
09 Giugno 2025
Massima In tema di abusivo frazionamento del credito, i diritti di credito che, oltre a fare capo a un medesimo rapporto di durata intercorso tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, oppure sono fondati sul medesimo o su analoghi fatti costitutivi, l'accertamento separato dei quali si traduca in un inutile e ingiustificato dispendio dell'attività processuale, non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che non si accerti la titolarità, in capo al creditore, di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata, in mancanza del quale la domanda abusivamente frazionata deve essere dichiarata improponibile, impregiudicato il diritto alla sua riproposizione unitaria. Qualora non sia possibile l'introduzione di un giudizio unitario sulla pretesa arbitrariamente frazionata, per l'intervenuta formazione del giudicato sulla frazione di domanda separatamente proposta, il giudice è tenuto a decidere nel merito sulla domanda anche se arbitrariamente frazionata e terrà conto del comportamento del creditore in sede di liquidazione delle spese di lite, escludendo la condanna in suo favore o anche ponendo, in tutto o in parte, a suo carico le spese, ex artt. 88 e art. 92, comma 1 c.p.c., integrando l'abusivo frazionamento della domanda giudiziale un comportamento contrario ai doveri di lealtà e probità processuale. Il caso Una struttura sanitaria che operava in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale proponeva due distinti ricorsi monitori per il pagamento dei corrispettivi relativi alle prestazioni erogate, rispettivamente, nel mese di ottobre del 2008 e nel mese di novembre dello stesso anno; mentre il primo decreto ingiuntivo non veniva opposto ed era quindi dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c., l’Azienda Sanitaria Locale interponeva opposizione avverso il secondo. Il Tribunale di Napoli accoglieva l’opposizione, con sentenza confermata all’esito del giudizio di appello: la domanda, infatti, era dichiarata improponibile, perché, avendo per oggetto una frazione di un credito unitario riconducibile a un unico rapporto di durata ed essendo stata proposta separatamente in assenza di un’oggettiva ragione giustificatrice, erano stati violati i principi di correttezza, di buona fede e del giusto processo. La sentenza di secondo grado era gravata dalla struttura sanitaria con ricorso per cassazione. La questione Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno dovuto stabilire se, in presenza di un abuso del processo correlato all’indebito frazionamento di pretese creditorie afferenti a un medesimo rapporto, in difetto di un giustificato motivo legittimante la richiesta di tutela frazionata, debba predicarsi, quale conseguenza sanzionatoria, l’improponibilità della domanda, anche quando – come nel caso di specie – si sia formato il giudicato su una porzione della pretesa creditoria e non sia, dunque, più possibile agire nuovamente in giudizio per fare valere il credito unitariamente e complessivamente considerato. Le soluzioni giuridiche Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha confermato che l’abusivo frazionamento del credito che non trovi una giustificazione oggettiva è sanzionabile con l’improponibilità della domanda, che potrà comunque essere ripresentata unitariamente; tuttavia, quando ciò sia impedito dal giudicato formatosi su una parte della domanda separatamente proposta, il giudice, per non pregiudicare in modo irragionevole il diritto di agire del creditore, non potrà dichiarare improponibile quella formulata innanzi a lui e dovrà quindi esaminarla nel merito, mentre potrà sanzionare la condotta abusiva in sede di regolamentazione delle spese di lite. Osservazioni A distanza di oltre venti anni dalla prima pronuncia intervenuta sul tema, le Sezioni Unite della Corte di cassazione tornano a occuparsi di abusivo frazionamento del credito, delineando in modo compiuto le conseguenze nelle quali incorre il creditore che, senza un giustificato motivo, introduca separatamente una pluralità di domande aventi per oggetto pretese riconducibili a un medesimo rapporto di durata intercorso tra le stesse parti. È utile ripercorrere, sia pure per cenni essenziali, il percorso seguito dalla giurisprudenza espressasi sull'argomento. Inizialmente, infatti, era stato affermato che al creditore di una determinata somma, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, andava riconosciuta la facoltà di chiedere giudizialmente un adempimento parziale (vista la correlativa facoltà di accettarlo attribuitagli dall'art. 1181 c.c., con riserva di azione per il residuo), vista l'assenza di disposizioni o principi generali deponenti in senso contrario e trattandosi di un potere che non incide sul diritto del debitore di difendere le proprie ragioni (in questi termini, Cass. civ., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108). Pochi anni dopo, tuttavia, questo orientamento veniva ribaltato, per giungere alla soluzione diametralmente opposta: il creditore non può proporre plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, dando luogo alla scissione del contenuto dell'obbligazione in modo unilaterale, poiché ciò aggrava la posizione del debitore, ponendosi in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede (che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto, ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale promossa per ottenere l'adempimento), sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte (Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726). Da ultimo, con le sentenze n. 4090 e n. 4091 del 16 febbraio 2017, le medesime Sezioni Unite hanno precisato che, sebbene nulla vieti che le domande aventi per oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi a un medesimo rapporto di durata, vengano proposte in separati processi, occorre favorire una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale sottostante, soprattutto quando le pretese creditorie siano iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, essendo fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente, se non a costo di una duplicazione di attività processuale: pertanto, deve reputarsi consentito formulare separatamente le domande in autonomi giudizi solo se il creditore abbia un interesse oggettivamente apprezzabile alla tutela processuale frazionata, dovendosi, in caso contrario, dichiarare l'improponibilità della domanda. Con la sentenza che si annota e tenuto conto dei rilievi mossi alle pronunce innanzi citate, i giudici di legittimità hanno inteso sistematizzare i principi affermati in tema di abusivo frazionamento del credito, anche in considerazione dell'ampliamento del loro ambito applicativo, esteso pure alle domande relative a diritti di credito distinti, perché riconducibili a fatti costitutivi storicamente diversi, ma analoghi per oggetto e per titolo, in quanto pur sempre verificatisi nell'ambito di un rapporto di durata tra le parti (si vedano, per esempio, le pronunce riguardanti il credito per compensi dell'avvocato che abbia svolto per il proprio cliente una pluralità di incarichi professionali omogenei, quand'anche non preceduti dalla conclusione di un contratto o di una convenzione regolatrice degli effetti). A fronte della diversità delle fattispecie nelle quali è stato ravvisato l'abuso del creditore, l'attenzione si è concentrata sulla moltiplicazione delle azioni giudiziali in relazione vuoi a una pretesa unitaria, vuoi a molteplici pretese che, tuttavia, si innestano in un unico rapporto di durata: l'accento è stato posto non tanto sul frazionamento del credito in sé (a ben vedere, non precluso dall'ordinamento e, al contrario, in certo modo legittimato da alcune disposizioni processuali), quanto piuttosto sull'abusivo ricorso a esso, perché non giustificato da un interesse meritevole di tutela e, come tale, in contrasto con il principio costituzionalizzato del giusto processo. Proprio per dare attuazione a questo principio, le Sezioni Unite reputano condivisibile la sanzione dell'improponibilità della domanda abusivamente frazionata, che può essere riproposta in via unitaria, vale a dire non limitata ad alcuni dei crediti che si iscrivono nella medesima vicenda, ma estesa a tutti quelli che vi rientrano e che, in quanto tali, sono suscettibili di ricadere unitariamente sotto l'egida del medesimo giudicato. Nel contempo, i giudici di legittimità osservano che, qualora ciò non possa avvenire, perché – come accaduto proprio nella fattispecie che ha condotto alla rimessione della questione alle Sezioni Unite – la riproponibilità unitaria della domanda è preclusa dalla formazione del giudicato in relazione a una frazione o una parte dei crediti che si iscrivono, nel loro complesso, nell'unico rapporto intercorso tra le parti, la soluzione non può essere la medesima, giacché la perdita di una parte del diritto o del credito derivante dalla preclusione pro iudicato – che determina una vera e propria inammissibilità – sancirebbe quella che viene definita come una “confisca del diritto di azione”, in spregio ai principi di ragionevolezza e di proporzionalità. In questi casi, il giudicato formatosi con riguardo ad alcuni dei crediti riconducibili a un unico rapporto copre il dedotto e il deducibile, ossia l'accertamento di tutti i crediti fino a quel momento maturati tra le parti in relazione al rapporto – unitariamente inteso – tra le stesse intercorso, precludendo, così, un distinto accertamento del credito residuo: di conseguenza, quando si trovi al cospetto di una domanda frazionata che non sia effettivamente riproponibile e anche qualora accerti l'inesistenza di un interesse meritevole di tutela ad agire frazionatamente, il giudice non potrà esimersi dal pronunciarsi nel merito, dando atto che la domanda non sarebbe altrimenti riproponibile. Per evitare che l'abuso rimanga privo di conseguenze, le Sezioni Unite individuano il rimedio nella regolamentazione delle spese giudiziali: il creditore che, per le ragioni spiegate, abbia visto accolta la propria domanda, esaminata nel merito nonostante la ravvisata condotta abusiva, potrà vedersene negato il rimborso, oppure potrà vedersele ridotte a quelle strettamente indispensabili, o, al limite, potrà essere condannato a rifondere le spese processuali sostenute dalla controparte, benché riconosciuta soccombente, in applicazione delle regole stabilite dagli artt. 88 e 92 c.p.c., configurando l'abusivo frazionamento del credito una grave violazione dei canoni di lealtà e di probità processuale. I giudici di legittimità, in questo modo, mirano a realizzare un equo contemperamento tra l'interesse della parte costretta a subire l'abuso perpetrato dal creditore e il potere-dovere del giudice di pronunciarsi sul merito della domanda, quando la sanzione dell'improponibilità non può essere comminata perché, conseguendone la definitiva perdita del diritto di credito, risulta conseguenza eccessivamente sproporzionata. La soluzione predicata dalla Corte di cassazione è coerente con l'intento di non penalizzare oltremisura il creditore, dal momento che, se è vero che merita censura l'utilizzo distorto del diritto di azione, è altrettanto vero che occorre tenere conto, da un lato, delle incertezze che caratterizzano la figura dell'abusivo frazionamento del credito (che non rinviene la propria definizione in una norma di legge, ma scaturisce pur sempre dall'elaborazione giurisprudenziale) e, dall'altro lato, del margine di discrezionalità che connota la valutazione demandata al giudice (sia per quanto riguarda l'individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie, sia per quanto concerne la ravvisabilità dell'esimente del giustificato motivo oggettivo, idonea a privare del carattere dell'abusività la scelta del creditore di azionare separatamente le proprie pretese che hanno titolo in un rapporto qualificabile come unitario). Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, a conclusione del proprio percorso argomentativo e sulla scorta dei principi sedimentatasi negli anni, hanno stilato una sorta di decalogo, affermando che:
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